Intervista a VALERIO
ROCCO ORLANDO
di Marta Casati
INTERVISTO VALERIO OCCO ORLANDO NEL SUO STUDIO A MILANO NEL 2009.
Il
video e la fotografia accompagnano ogni suo lavoro, o per meglio dire, sono le
fondamenta di ogni suo passo artistico. Valerio Rocco Orlando, giovane artista
milanese ormai da anni presenza nota sul panorama artistico italiano, raccoglie
ennesime conferme e prosegue sulla sua strada di ricerca e di sperimentazione.
Soprattutto il ritratto, al di fuori dello stereotipato modo di percepire la
globalità fisica e mentale di un individuo, è quanto più lo interessa e lo
stimola. Orlando mira a indagare, più che percepire, l’identità che si cela
subito al di là della sua spessa coltre d’apparenza. Ma è soprattutto la
possibilità di cambiamento, la certezza o incertezza di metamorfosi, che lo
intriga fino a suggerirne le tematiche portanti di ogni sua opera.
L’installazione poi diviene parte integrante della sua messa in posa,
necessaria esigenza espressiva e non solo stratagemma destinato alla durata
dell’esposizione.Durante l’intervista ho cercato di visualizzare l’attenzione
su quanto è il suo presente, con l’esperienza americana che sta vivendo, e
quanto è stato più significativo tra le mostre ormai affrontate.
Voglio cominciare questa intervista visualizzandoti nel momento biografico e artistico che stai vivendo. Sei a New York essendo stato eletto vincitore assoluto del Concorso Pagine Bianche d’Autore 2009. Cosa già sta dando questa esperienza? Quali sono gli obiettivi che ti sei prefissato?
La residenza di sei mesi
all’ISCP è un’importante occasione di riflessione, confronto e produzione.
Questa partenza ha dato nuova energia a un progetto a cui lavoro da tempo:
l’obiettivo è di girare a New York un film d’amore, il ritratto di una
relazione sentimentale, a partire dall’analisi del filosofo francese Jean-Luc
Nancy. Ho pensato di creare nel mio studio un luogo di scambio e di ricerca,
crocevia di volti, testimonianze e riflessioni attorno all’esperienza amorosa.
Una serie di scatti fotografici e appunti di viaggio documenteranno il processo
di costruzione dell’opera, registrando incontri, conversazioni e suggestioni
visive. Sto cercando anche un confronto acceso e vivo con altri artisti che
vivono nell’area di New York, di modo che la mia visione non rimanga privata e
singolare, ma diventi tanto più universale e condivisibile.
Dalle pagine del tuo sito web hai spiegato il quid del tuo procedere
artistico così: “La mia ricerca
parte dalla consapevolezza per cui la nostra identità è in continuo movimento,
vive nella stratificazione della memoria e va costituendosi nella condivisione
di relazioni e sentimenti.”
Cosa più t’inquieta dell’identità e del suo non potersi inquadrare e
fissare? Sono assolutamente affascinato dalla mobilità della
nostra identità e dalla sua capacità di definirsi, quotidianamente, all’interno
delle relazioni con gli altri. Secondo Rudolf Kassner, il filosofo austriaco
che negli anni Venti mette in discussione la fisiognomica classica, “ogni carattere,
volto, essere è metamorfosi”. La nostra stessa identità è metamorfosi, in
quanto polarità e in-differenza di tratti fissi e tratti mobili, fisionomia e
mimica, statica e dinamica. Dal momento che l’uomo non può essere come appare,
semplicemente perché non si limita a essere, ma continuamente diventa, cambia,
si trasforma, il suo volto non è più spazio, ma tempo. Il volto è storia, o
meglio, racconta le sue storie; non dice il carattere, ma le sue
trasformazioni, che sono appunto le sue storie. Nelle mie installazioni
emergono proprio queste trasformazioni, in una “reciprocità di sguardi” in cui
si genera il senso del volto, all’interno di una relazione di perfetta
co-risonanza vissuta tra ciò che oggettivamente appare e lo sguardo soggettivo.
La tua ricerca è
nutrita dalla fotografia e dal video con energica fame sia dell’uno che
dell’altra, senza per questo sfociare in attacchi bulimici in entrambi i casi.
Il tuo risvolto finale procede asciutto e sgombro da eccessi ornamentali
ridondanti. Ma in questo procedere attento il video risulta il protagonista
assoluto. Come ti approcci al suo obiettivo? Progetti ogni dettaglio a tavolino
per poi giungere alla fase tecnica avendo studiato ogni passaggio o lasci che
l’istinto del momento giochi gran parte della partita?
Il mezzo cinematografico è
il più coerente ed efficace nel rendere quelle trasformazioni, corrispondenze e
stratificazioni che m’interessa scandagliare. Dopo un lungo lavoro di
documentazione, editing e selezione, minuzioso e istintivo allo stesso tempo,
la fase dell’installazione riveste un ruolo altrettanto importante nel processo
di creazione di un progetto, tanto che anche la fotografia viene sempre
inserita all’interno di strutture articolate.
Una delle mostre personali più recenti (tenutasi da Maze a Torino) si
chiama Niendorf (The Damaged
Piano). Vorrei che spiegassi tu
stesso per chi non ha visto il progetto, ospitato anche al Teatro Regio di
Parma, la storia di questo pianoforte e del suo pianista, il perché ti sei
appassionato così tanto alla sua vicenda. Niendorf
(The Damaged Piano) è il ritratto di un
pianoforte sopravvissuto in Germania alla guerra, uditore e interprete di mille
storie e ancora capace di vibrare suoni assolutamente personali. Le tracce
dell’abbandono e la sua riscoperta, così come l’identità stratificata dello
strumento, sono talmente evocative e stimolanti per la mia ricerca, che ho
sentito fin dall’inizio la necessità di raccontare la sua storia. Grazie anche
alla produzione del festival Novara Jazz il progetto ha vissuto diverse fasi,
dalla prima presentazione a Palazzo del Broletto di Novara all’installazione
dei due mega schermi sul palcoscenico del Teatro Regio di Parma, fino alla
forma definitiva della personale da Maze a Torino. Le luci colorate
riverberano i diversi suoni e le diverse anime che appartengono al pianoforte,
le musiche del passato che riaffiorano nel presente, così come il close-up in bianco e nero del compositore inglese Michael Nyman,
nella seconda proiezione del film in 35mm, diventa l’alter ego di ogni
musicista che si è accinto a suonarlo.
Tre aggettivi per descrivere
il mondo dell’arte contemporanea (ormai domanda immancabile per ogni artista). Personale, rizomatico e spettacolare.
(PUBBLICATA NEL
NUMERO DI OTTOBRE-NOVEMBRE 2009 DI ESPOARTE)
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