sabato 9 febbraio 2013

LORENZA BOISI

  
Intervista a LORENZA BOISI
di Marta Casati



Intervista realizzata per il catalogo della mostra NIGHT VISION da METRO QUADRO (RIVOLI), Gennaio-Febbraio 2010
Alcune pitture sono eventualità, altre eventi. Con Lorenza Boisi si gravita in quest’ultima sfera d’azione. “Azione” perché il suo procedere pittorico avanza sicuro del suo saper guardare oltre, saper vedere anche nel buio, come lei stessa ci spiega. Un artista è una costellazione di sfaccettature, diramazioni, incontri, certezze come anche dubbi e innumerevoli ripensamenti: l’essere coinvolto dalla materia sia totale & totalizzante è il quid risolutivo che ne determina la condizione. Tale definizione è purtroppo tra le più abusate e violentate proprio tra soggetti che non meritano tale appellativo. Di fronte a un dipinto di Lorenza Boisi possiamo essere certi di non adoperare termini impropri definendola artista e, nello specifico, pittore perché non potrebbe non essere altrimenti. La galassia di esperienze che la contiene ha bisogno di coordinate sempre più espandibili per trattenere slanci di pensiero e di gesto, coordinati e pur sempre all’arte per l’ennesima sorpresa.
Le ho chiesto di parlare in prima persona del suo lavoro per scoprirne aspetti illuminanti.


Innanzitutto sono curiosa di sapere il perché del titolo che personalmente hai scelto per questa mostra: NIGHT VISION.
Night Vision... la “visione notturna”... un'espressione poetica che è portatrice di senso sia fisiologico che tecnologico... per me un riferimento importante e concettualmente denso per stratificazione di significato e senso, per riferimenti culturali e personalissimi, per un modo di concepire e di conoscere il reale, esplorando dimensioni altre dall'esperienza ordinaria attivando sensi e sensibilità quiescenti.
La prima volta che mi imbattei in questa espressione avevo circa 14 difficoltosi anni, come per tutti, il titolo di una canzone amata (Night Vision , Susanne Vega, Solitude Standing 1987) dal testo ermetico ma suggestivo...
Un contenuto che si dischiuse, come per caso o per predestinazione, solo molti anni dopo, il referente della vicenda del Kind von Europa*, la sua straordinaria, triste, meravigliosa, breve esistenza; la sua potenzialità altra, i suoi sensi e la sua “naturalità” selvatica nel vedere il mondo, vicino agli artisti brut, ma ancora più alieno e misterioso. Con il suo cavallino di legno e l'abilità di vedere nel buio, che si trasduce poi in capacità di guardare “dentro”, di vedere oltre i fatti ovviamente assunti, per leggere profondamente la vera essenza compiuta dell'esperienza umana.
Night Vision è pure la definizione tecnica che denomina ogni implemento ottico alla scarsa abilità dell'essere umano a distinguere nel buio... a discernere pure il bene dal male.
In assenza del bellissimo Tapetum Lucidum, l'essere umano è  debilitato, impotente.
Spegnete la luce, sarete sprofondati nell'incertezza, muovendovi a tastoni, affidati a quattro sensi scarsamente sviluppati... forse presi da un'ansia ancestrale e presentissima.
Night Vision, è nel mio mondo, una facoltà di guardare nel buio fisico e in quello della coscienza, nel rimosso e nel perturbante.
La selezione delle opere in mostra non segue un impianto organico in nuce, non deriva da un progetto iniziale strutturato e programmatico. E' un ensemble orchestrato di emersioni dal buio, in senso stringente ed ampliato. Come fotografie cieche, ma “veggenti” come fantasmi sprovveduti, colti nel loro muoversi silenziosi...
Io “vedo” nel buio... vi lascio guardare con me.

La tua pittura ha un tessuto materico coeso che poggia solido su una struttura architettonica sicura e ben articolata- Nello stesso tempo la narrazione fluisce liquida e sicura del suo andamento. Tale risultato è dato da un procedere calcolatore che stabilisci a priori, programmandoti di volta in volta i passaggi che dovrai apportare sulla tela, o piuttosto è frutto di un andamento dai tratti liberatori, istintivi, privi di un’analitica programmazione?
Ti rispondo richiamando una tua felice espressione, vivo la pittura come “esperienza”.
Nel mio lavoro non mi impegno a calibrare un sistema protocollare, un piano regolatore generale; ogni lavoro è in sé esperita esperienza. In un certo modo, il mio sistema, se questo esiste, sta nel piacere, nel piacere anche vessatorio ricercato nel ripetersi di un'esperienza. In questo “bisogno espletato” si ritrova un metodo, inscritto nelle sue stesse qualità tangibili ed estetiche.
Negli anni d'atelier, la dinamica della “ricerca del piacere” si è resa meno incerta, con la famigliarità e la pratica, questo iniziale vibrato cinestetico/sinestetico si è progressivamente chiarito strutturando, seppur fisiologicamente, il proprio andamento e la propria ritmica.
Ho imparato a trovare referenti comuni per esprimere il mio sentire di Studio. Credo che la vitalità, il coinvolgimento, il senso di egoistica intimità, ma pure, il tedio e l'inibizione dell'esperienza onanistica (e non del travaglio) siano in sé buoni significanti esterni che possano rendere efficacemente noti il divenire e la con-formazione di un lavoro artistico.

Nei tuoi dipinti ci sono soggetti che ricorrono spesso, più volte tornano ad animare le tele - basta ricordare i paesaggi innevati con i rami secchi, i nastri colorati, le folte chiome castane solo per citarne qualcuno. Che legame s’intrattiene tra loro (con quale significante/significato?) E come le tue immagini si avvicinano all’astrazione, come ne sono gestite?
La mia pittura ha conosciuto la definizione fluida di un abbecedario di segni spontanei, potremmo dire un'interna economia linguistica.
Il gesto pittorico, dapprima incredulo della sua stessa volontarietà, si sedimenta  per reiterazione, diventando estensione delle intenzioni del pittore in una progressiva esclusione no-frills che sintetizzi, al suo limite, tutta la sensibilità esplosiva dell' artista espressionista quale io sono.
A sua volta, il gesto, si determina in segno, facendosi costruttore di simboli/soggetti che nel mio lavoro ed egualmente, in quello di molti artisti, è un paradigma complesso, organico, talvolta organizzato, spesso subito. Ho costruito quasi inconsciamente un universo di luoghi e personaggi, un universo di accadimenti e di stasi. Questo “spazio” sta' virando verso la propria astrazione, la propria decostruzione formale, tendendo, sempre più intenzionato, verso un'espansione astratta
Nell'onesta quotidianità artistica, la teoria e la pratica dei vasi comunicanti è una realtà fattuale.
Se non siamo Tutto... possiamo essere Tanto. Tanto tutto insieme e contestualmente. Per questa ragione ci imponiamo delle scelte selettive e spesso si procede per esclusione. Io, come nella vita, ho smesso di resistere al divenire. Nella mia pittura, quadro dopo quadro, dopo quadro... dopo quadro conosco e accetto un riversamento di contenuti e di incidenze  plastiche che “concuociono” per poi dissociarsi nuovamente, fino alla condensazione di specificità e categorie.
Ho imparato ad apprezzare l'incidente, la lacuna e la perdita di controllo. Questi fantasmi del formalista, sono certamente i migliori amici e i maggiori elementi di tentazione per l'artista, essi traslano la priorità, dal soggetto, all'astrazione, al media come  proprio oggetto.

Pur essendo la pittura il media con il quale ti esprimi in maggior parte, non mancano tue espressioni scultoree composte da materiali diversi. Che rapporto hai con la scultura?
Sono un pittore. Sono anche un pittore scultore.
Il mio modo di dipingere considera le tre dimensioni atmosfericamente, nel mio approccio con il volume provo a rendere tangibile questa atmosfera. Dunque la scultura non illustra la pittura, o vice versa, esse si intridono l'una dell'altra nelle atmosfere che suggeriscono, nelle profondità tridimensionali rese senza l'ausilio della quadratura prospettica.
La scultura è un forte richiamo per gli artisti espressionisti, lo è storicamente, lo è storicamente in modo molto felice.
La pratica di queste “discipline” si coniuga in un reciproco riversamento e traduzione di intenti. Come nella mia pittura si trovano e si cercano riflessioni sul media e sulla sua tradizione, pure nella mia scultura, per quanto difficoltoso, si debbono leggere considerazioni sui valori plastici e sulla tradizione di questa pratica, l'uso di materiali effimeri o inconsueti, unito a quello di materie prime tradizionali, è da ricondursi allo slancio di una libertà virtualmente illimitata e non ad un interesse per un'impropria dichiarazione di un-monumentalità.
L'effimero non è tale laddove esista interesse per la sua conservazione... ed io vorrei che la mia scultura potesse sopravvivermi...

Nella pittura invece chi sono i tuoi referenti? Che relazione hai con le espressioni della pittura contemporanea?
Il mio referente, in senso stretto è la pittura nella sua storicità. La pittura nel suo essere “Pittura”; in questo comprendo soprattutto la distinzione delle sue “categorie” e la diacronia delle sue progressioni.
Amo molto gli artisti che si sono trovati a latere del loro tempo. Interpreti di una vicenda storica personalissima e, solo incidentalmente, intrecciata alla loro contemporaneità. Mi interessano i cosiddetti Outsider Artists,  per la loro dedizione e la loro naturale eccentricità, per essere veri artisti visitatori, venuti e rimasti nel mondo, rifugiati in una bolla di assoluta alterità.
Posso dire, forse, che il presente di tutti... non mi interessa.
I referenti influenzali che certamente condivido con molti dei miei colleghi, sono tra gli altri Munch, tutto l'Espressionismo ed il post Espressionismo tedeschi, Guston,; mi interessa la tradizione del Memento Mori, delle Vanitas, ma pure la pittura naïf e la pittura popolare devozionale, l'ex Voto e le invenzioni pseudo artistiche da giardino, la pittura medianica.
Sono curiosa di molto, se non di tutto trasversalmente, effettivamente snob e flâneuse.
Per quanto riguardi i miei colleghi, un po' come tutti, rimpiango le atmosfere della “Sala Rossa”. La fruizione delle opere da monitor retroilluminato, fa male, malissimo alla pittura... Tra i miei contemporanei mi interessano e mi ispirano soprattutto la pittura nord americana, il  New Naïf, la pittura di estrazione mitteleuropea e nordica, ho amato molto la ricerca pittorica inglese, ma la trovo ormai asfittica e declinata verso un'estetizzazione piuttosto fallace. Non mi interessa alcuna forma di virtuosismo gratificante, lo sguardo a soggetti extra artistici, la mutuazione di immagini mediatiche, non mi interessano né denuncia, né pop... detesto l'uso strumentale della disciplina subordinato ad una causalità concettuale.
Voglio guardare solo opere ad personam, per quanto oggi possano ancora manifestarsi.
Sono una decisa fautrice del ritorno alla soggettività. Mi interessano solo opere non verbalizzabili. Non posso accettare alcuna manifestazione artistica che sia efficacemente traducibile  in parola. Voglio una pittura, un'arte contemporanea, che non si possa dire... che debba essere esperita direttamente; che ci renda impropri nel tentativo di trasmetterla con mezzi articolati e consueti. Vorrei che questa ci facesse sentire inetti, inabili nel conato corrotto di una impossibile spiegazione.

Qual’è il “maggiore e più grave” fraintendimento che più spesso la tua pittura deve subire? Hai la possibilità di spiegarlo, definirlo, dargli un nome nonché fare chiarezza.
La pittura è vittima incapace di un terribile fraintendimento culturale.
In Italia, ho trovato una diffidenza, una sufficienza, un disprezzo e un'incomprensione verso la pittura, sconosciuti in ogni altra parte del mondo... Per ragioni di storia recente e di un impraticabile penchant alla pedante omologazione, la critica e la curatela italiane hanno evacuato un media nella sua interezza... la pigrizia e l'insicurezza degli operatori artistici italiani non ha mai smesso di penalizzare la pratica della pittura e i suoi interpreti, perpetrando uno sfinimento progressivo delle sue ragioni di esistenza in vita; tanto da aver compresso gli artisti pittori sopravvissuti dentro a cubicoli angusti o a classificazioni abusive e traviate.
Ma un pittore, un vero artista pittore, non può far altro che essere un pittore artista. La mascheratura, non regge e se imposta da interessi altrui, le sue ragioni suonano fesse anche se proclamante e sostenute da parole..parole..parole.
E allora  ...che fare? Aspettare... senza morire...se possibile... la pittura vive...

Una tua riflessione sul periodo storico-artistico che stiamo vivendo: come ti inserisci nelle polemiche della nostra contemporaneità?
Alcuni individui crescono, alcuni... invecchiano... ad altri non accade nessuna delle due cose... di certo tutti ci muoviamo lungo la medesima direzione... ed andiamo in un unico inevitabile luogo... Così è per i pittori, per gli artisti, per gli artisti pittori e per i pittori artisti, per le persone... per tutti.. anche per i critici... anche per i curatori...
Ad oggi non mi interessano i ragionamenti macro-strutturali/ti. Mi muovo in un'ucronia personalissima ed in operazioni laterali di sano confronto con altri artisti.
Non sono un artista “en Vogue” e se Dio vuole, questo non succederà. Sono un artista “en Vague” questo sì. Ondeggiando su un terreno imponderabile, salgo e discendo con relativo distacco, le creste dell'onda che si avvicendano fino a dar il mal di noia.
Solo da pochi anni ho compreso una dichiarazione resami da Bernard Martin: “l'unico artista contemporaneo che mi interessi è Cranac” Io non arrivo a tali estremi, molto mi interessa... soprattutto molto di quanto non interessi a nessuno, questo certo rende esigue le conversazioni “intelligenti”, ma amo molto parlare del tempo e conosco tutte le denominazioni usate per le formazioni di nubi.
*Kaspar Hauser (1812 circa – Ansbach, 17 dicembre 1833) fu chiamato il Fanciullo d'Europa.
Il 26 maggio 1828 compare all'improvviso in una piazza di Norimberga, un ragazzo che ha forse sedici anni e sa dire solo un nome, forse il suo, Kaspar Hauser e poche altre parole- Voglio Essere Cavaliere come mio Padre.
Poteva nutrirsi solo di pane e acqua. Reagiva violentemente a qualsiasi impressione sensoriale, come ai suoni acuti.  Vedeva benissimo di notte, anche gli accostamenti più difficili, come un numero civico rosso su fondo nero dall'altra parte della strada. Per ragioni tuttora ignote, aveva passato gli ultimi dodici anni ial buio, in una “scatola” in legno, imprigionato da un uomo che lo nutriva e lo curava periodicamente, una volta sedatolo, che poi lo lasciò inaspettatamente libero. Il 14 dicembre 1833, nel parco di Ansbach, venne pugnalato da uno sconosciuto e morì tre giorni dopo. Sulla sua lapide si legge: QUI RIPOSA KASPAR HAUSER, ENIGMA DEL SUO TEMPO. IGNOTA L'ORIGINE, MISTERIOSA LA MORTE - 1833. Nei giardini dove fu accoltellato gli fu eretto in seguito un monumento, con una lapide che recita: QUI UN TIPO MISTERIOSO FU UCCISO IN MODO MISTERIOSO


Nessun commento:

Posta un commento