sabato 9 febbraio 2013

ROBERT GLIGOROV


Intervista a ROBERT GLIGOROV 
di Marta Casati



Incontro Robert Gligorov nel suo studio di Milano nel 2006 per una lunga e piacevole chiaccherata.



Inizio chiedendoti della tua mostra più recente, Full Contact a Certaldo. Considerando la cornice che la ospita, hai sentito l’imponenza di pareti così antiche e con un bagaglio imponente del passato? Ha per te valore di una retrospettiva? 
La mostra a Certaldo rientra perfettamente in uno dei miei progetti, ossia quello di esporre in paesini, paesi piccoli o relativamente piccoli ma che hanno una loro storia a livello architettonico. Se ci sono - non soltanto in Italia ma anche in giro per il mondo - paesi così belli, così particolari, per me è un onore poter esporre nei loro palazzi storici. Lo trovo un contrasto molto violento tra mura, affreschi, dipinti tanto antichi abbinati poi a un video e a un’immagine di oggi. Qualcuno ha anche contestato le scelte fatte del Comune circa la mostra. Ci sono stati molte lamentele ma ovviamente anche molti consensi: se tu pensi che questa mostra di Certaldo è già stata vista da ben 20.000 persone!  
  
Tra l’altro è stata anche da poco inaugurata.  
Infatti. Pensa che all’inaugurazione c’erano dieci o quindici persone e che invece, ogni giorno, c’è un incredibile via-vai di persone da tutto il mondo. Non c’è stata alcuna altra mostra che mi abbia dato una visibilità tale. Una mostra in galleria può arrivare a un totale di 500 o 600 o 800 persone al massimo ma a arrivare a 20.000! Tornando alla tua domanda iniziale, posso dirti che è stata come una parte di una retrospettiva: realizzarne una in maniera dettagliata tra dipinti, installazioni un’idea in cui potessi ripetermi e ripeterla all’infinito, come fosse un modulo vincente e disegni è un lavoro molto lungo e meticoloso. In questo caso non ho voluto concentrarmi troppo sul taglio retrospettivo. Diciamo che è una mostra retrospettiva per i miei lavori fotografici, selezionandone circa venti o venticinque. Quello che ho notato è che è davvero importante esporre perché così vedi meglio il tuo lavoro. Ti rendi conto  po’ meglio di quel lavoro solo una volta che è appeso e solo dopo che ha incontrato e ha avuto l’impatto con la gente. Quando operi in studio, con i tuoi tecnici o con i laboratori, non ti rendi bene conto perché sei sempre schiavo di qualche problema tecnico, solo quando lo vedi esposto in spazi così grandi, invece che in gallerie, ti rendi davvero conto della sua forza.  

Come fosse un punto di verifica e di arrivo ma, nello stesso tempo, una partenza di una nuova visione… 
E di perfezionamento. Nell’arte i lavori più sono vecchi, un po’ come il prosciutto, più hanno sapore. “Ah,quel periodo era felice!” o “ah, in quel periodo…. quante idee!”. Sempre quel periodo, mai quello di oggi, sempre quello passato. Ma estraendo lavori vecchi, e già ormai da me digeriti, faccio fatica ad amarli, a rivederli, perché il mio è un lavoro rapido. A me interessa il dialogo, il viso, la performance e lì devono morire. Il fatto di conservare l’oggetto, di mitizzarlo, è l’esatto opposto del concetto dal quale  nasce. Noi artisti siamo un po’ come i cantanti: il cantante ripete lo stesso pezzo centinaia di volte durante i suoi concerti, così noi che proponendo lo stesso lavoro fingiamo anche il nostro entusiasmo. Se intendessi esporre i lavori più vecchi, lo fanno altri per me che hanno raccolto quanto possa esserci in giro e mi invitano all’inaugurazione. Ma se io dovessi organizzare una retrospettiva e portare i miei lavori implicherebbe che io ci creda, ma io non ci credo. Io credo nell’immediatezza di quel periodo. Infatti molti dei miei lavori sono legati a un’epoca o a un periodo. Tu sposi un modulo e fai solo quello e lo ripeti all’infinito, facendo solo delle piccole modifiche all’interno di ogni cosa. Io non ce la farei ad aver avuto a vent’anni un’idea vincente e ripeterla poi anche a trenta o a quaranta solo per andare sul sicuro. Io in qualche modo  nego tutto quello che ho fatto in passato. Non mi riconosco più in quello che ho fatto e ho avanti nuove prospettive e nuovi progetti, fino a quando ci sarà la voglia ovviamente. Perché alla base di tutto c’è l’energia necessaria per produrre. Alla fine di tutto, l’aspetto più esilarante di questo lavoro (sempre che sia un lavoro) è quando stai accarezzando e hai la sensazione che l’idea sia quella giusta, come se fosse una droga. È allora lì che provi eccitazione. Ma se in realtà provi insofferenza mentre lo fai, non vedi l’ora che finisca, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. Stai ripetendo un modulo che sta annoiando te per primo ma il mondo è grande e non tutti conoscono il tuo lavoro, come le 20.000 persone di Certaldo. Magari 1600 mi conoscevano già e hanno detto: “Ah, guarda, Gligorov!”. O altri invece che hanno detto: “Ma cosa è questa roba??”. Così ti rendi anche conto quanto il mondo dell’arte sia lontano dal mondo reale. Nel mondo dell’arte tutti conoscono quasi tutti ma appena tu esci fuori, anche i più grandi artisti, non li conosce nessuno.  

Spesso siamo proprio noi, i cosiddetti addetti ai lavori, che diamo ogni cosa per scontata e già nota ai più anche quando non lo è affatto, grave errore. 
Assolutamente. Poi pensa con quale arroganza ci rivolgiamo, ossia proponiamo qualche cosa senza che poi ci sia una promozione adeguata o un metodo che arrivi davvero alle persone. Uno potrebbe dire: “ma io mi rivolgo al mondo dell’arte!”. Ma il mondo dell’arte è troppo piccolo. Perché uno dovrebbe lavorare tutta la vita solo per il mondo dell’arte? Saranno in tutto tremila persone! Se io devo dedicare la mia vita per rivolgermi solo a tremila persone -che poi tanto non convincerai mai se non per quelle cento - tanto vale rivolgersi a tutti. Non per questo però scendo a compromessi con il mio lavoro e realizzo lavori più “facili”. Agisco con la stessa libertà di pensiero e di azione, ma anche per un pubblico che non è così abituato a leggere quei segnali, senza che l’arte diventi di massa, perché poi sarebbe di culto. Può anche conservare questo aspetto elitario, basta che alla fine arrivi. Un mio amico direttore di banca in questi giorni mi ha detto: “Ero a New York l’altro giorno. Ogni sera ero fuori a cena e ogni sera, regolarmente, c’era un artista. Ma come è questa storia? Quanti siete!?!”. Un po’ come se ci fosse un inflazione: più va male l’economia più aumentano gli artisti! Con il fatto che oggi non occorre più una manualità, basta avere un atteggiamento progettuale costruttivo con dei tecnici ed ecco lì che puoi fare delle opere! 

E poter scrivere sul bigliettino da visita la definizione di “artista”, che piace così tanto! 
Sicuramente c’è un incremento da parte anche di chi investe, come fondazioni, galleristi, ex collezionisti che diventano galleristi e che a loro volta diventano mecenati e promotori, e ancora e ancora. Di sicuro c’è un’espansione, non so se poi esista anche tanta domanda del prodotto, in ugual misura. Sicuramente c’è molta proposta. 

Troppa! Si ha soprattutto una ridicola fluidità di passaggio da uno stato creativo all’altro. Della serie: “Adesso lavoro con il video: sai prima facevo il pittore ma, dato che non ‘funzionava’, adesso ho cambiato!”. Incredibile! Ecco che quindi spetta all’intuito di chi ascolta e recepisce di capire e valutare. Ben accetta sia la non-costanza [intesa come continua ricerca per non ripetere all’infinito il modulo a cui prima abbiamo accennato] ma non il caso e l’improvvisazione.
Pensa a quanti sono gli artisti che sono morti giovani e che hanno prodotto poche opere nella loro vita, come Veermer o come Caravaggio. Io penso che un artista possa fare anche un solo capolavoro, se gli riesce. Non c’è bisogno di produrre all’infinito. Non deve essere una catena di montaggio! Tu sei sempre lì nella tua officina a produrre ma in realtà quello che conta è meno prodotti e più capolavori 

Quello che manca oggi: meno quantità e più qualità.
Assolutamente. Puoi produrre molto meno ma puoi produrre un capolavoro all’anno. È più che sufficiente. C’è bisogno di quello. Così hai dedicato una o due anni a un’opera che è importante. Quando la esponi senti che è forte. Poi c’è un altro grosso contrasto: ci sono persone che prima sperimentano e fanno delle cose per così dire “innovative” ma poi, quando le espongono o in galleria o nelle fiere, vanno in depressione se non le vendono. Che l’arte sia un business ormai si sa, ma devi fare un oggetto che, proprio a livello oggettivo, sembri un oggetto d’arte. Ma l’arte sfugge l’oggetto, soprattutto quella più concettuale, nega l’oggetto; negando l’oggetto arrivi all’estreme conseguenze. E quindi cosa vendi? Domanda: “La fiera è andata male?” Risposta: “Si ma il pubblico mi deve seguire anche quando io nego l’oggetto!”.
 
Il tuo amico, se vorrà avere la stessa sensazione anche qui in Italia, basta che giri per Milano e si accorgerà che anche qui sono  tutti artisti…..
Si vede che New York e Milano hanno la massima inflazione di gallerie e artisti! In fondo l’arte (l’arte, non il mondo dell’arte) è un mondo così bello, magico, che ha un aspetto tutto suo. Sarebbe un peccato perdere quel gusto dell’arte in cui poi rientra anche l’oggetto artistico. Mentre del mondo dell’arte chi se ne frega! È un mondo come un altro, come quello della finanza in cui ci sono mille strategie e modi di far carriera. Nel mondo dell’arte idem. Certo che conta più la strategia dell’oggetto artistico. Molti artisti in vita hanno fatto la fame come Rembrandt e altri invece (mi viene in mente un pittore pompier Alma-Tadema) sono stati ricchi. Tiziano ad esempio è stato un altro che ha saputo gestire bene le sue relazioni, altri invece avevano un caratteraccio e non hanno saputo farlo. Come oggi che ci sono artisti che non sanno spiegare neppure cosa fanno.

Sono coloro che vengono surclassati da quelli che hanno capito altri aspetti più pratici e concreti
… e poi che sono quelli che “arrivano”. Non sempre però chi arriva è solo furbo. Spessa ha anche un bel oggetto. Se ha avuto una buona analisi di strategia, di sicuro ha anche una buona analisi per capire quale sia l’oggetto che funziona e quale no. Se tu guardi i  grandi artisti hanno come corrispettivo  i grandi stilisti: il progetto è perfetto. Se tu prendi un vestito firmato noti che le rifiniture sono state realizzate veramente bene. Se tu prendi un’opera di un artista contemporaneo ormai esploso, noto, vedrai che l’oggetto è fatto bene. La meticolosità del grande artista sta nel rifinire e ultimare l’opera in maniera impeccabile. Quando da l’ok, quello vale come la sua firma. Anche se non la realizza lui, è lui che deve dare l’ok. Altrimenti significa che l’opera non è opera. 

Perché, come dicevamo prima, di capolavori se ne ha uno l’anno.
Ma neanche uno all’anno, io dico uno nella vita! Già se ne hai realizzato uno forte nel corso di tutta la vita è già moltissimo. Poi dipende per cosa sì considera per “capolavoro” e cosa si intende per “oggetto artistico”. Ci sono tante mostre che lasciano una sensazione tiepida, fredda. Credo che la mostra debba invece avere valore di un’esperienza e l’esperienza deve essere una sorta di meraviglia. Tu devi meravigliarti di fronte a l’opera. Questo deve essere il senso dell’esperienza. Non si va ad una mostra soltanto per andare ad una mostra. Devi andare ad un avvenimento perché l’artista, di quello che ha vissuto e di quello che ha fatto, sta portando un’esperienza in uno spazio espositivo. Tu, che in qualche modo ti accingi alla mostra, devi essere in grado di vivere un’esperienza, quell’esperienza.  
     
Concetto che appartiene anche al tuo modo di concepire l’arte come performance da vivere qui, ora, subito.
E se non è così, non è perché lo spettatore non capisce ma solo perché l’opera è debole. Infatti non c’è niente di peggiore in filosofia di un pensiero debole, come nell’arte un’opera debole.

Quando ti avvicini al lavoro esposto, lo avverti chiaramente…
Lo avverti con chiarezza. Ora capisci che, cercando un quadro, un oggetto, un’opera che abbia le sue caratteristiche ma che nello stesso tempo sia anche innovativa, ecc…, alla fine potresti anche impazzire perché non c’è una chiave teorica ma c’è solo una chiave legata all’artista e all’esperienza. Così l’artista dialoga o con i tecnici o con i collaboratori o con altri ancora, oppure con i propri fogli o con i propri oggetti e anche può accadere che “arrivi”. Spesso a certe grandi invenzioni gli ideatori vi sono arrivati casualmente, come anche nell’arte. Osservando per caso qualche cosa, da lì puoi notare se possa nascere qualcos’altro. Non sempre mettendoti lì a riflettere e a pensare si può generare un prodotto valido perché un’opera che è potente. Le cose semplici non e’ detto che siano facili da realizzare. 

Lo stesso accade nella scrittura. Scrivere bene non significa scrivere complesso. I più grandi si esprimono con semplicità.
Lo stesso nell’arte. Quando vedi un oggetto semplice ha dentro una forza prorompente in grado di emanare forza evocativa e sinceramente ne sono attratto.

Un po’ come per quella bambina lì disegnata [indico il quadro posto di fronte a me, appoggiato alla parete dello studio, raffigurante una bambina bionda] che è potentissimo, incisivo e semplice.
Sì è vero. E’ opera di mia figlia quando aveva 6 anni . Guarda quanti ne ha realizzati! [Gligorov indica con la mano destra altri dipinti più piccoli ma riuniti insieme in un angolo della stessa parete].
 
Se ti fosse imposto di rinunciare alla fotografia o al video come strumenti a te necessari per esprimerti, del quale potresti farne a meno, pur duramente?
Forse potrei rinunciare al video, perché il problema del video è l’organizzazione: presuppone un grande apparato organizzativo. Tutto è molto complesso e complicato ed è molto laborioso anche solo esporre un video. Necessita di un proiettore, di un certo tipo di spazio, di uno schermo. Se fossimo in un contesto ideale: allora potrei anche rinunciare alla fotografia che, in quanto documentaristica, è più lontana dal mio lavoro istantaneo e immediato. Se ci fosse la disponibilità di una infinità di denaro, tecnici, spazi, laboratori e quant’altro, potrei rinunciare alla foto. Il mio lavoro si compone di tante foto ma non mi ritengo un fotografo. La fotografia documenta soltanto la mia performance, documenta un assemblaggio di cose che ho fatto ma in realtà io non la amo. Non ho mai guardato una foto e dopo affermato: “Cavoli! Che bella foto!”. Semplicemente non ho mai preso spunto dalla fotografia che però, effettivamente, è molto pratica per le mie cose, più di un dipinto.  

E se (sempre lo stesso “simpatico” individuo) ti chiedesse di scegliere solo un tuo lavoro in grado di rappresentarti in tutto e per tutto, quale sarebbe e perché?
È un video. Ne sono certo. È Fine, appena, mai

Perchè è ancora così attuale nel tuo percorso artistico o esistenziale?
Risulta in qualche modo il più duro, diciamo il più forte. A volte ci sono delle combinazioni in cui accadono nella vita delle cose e  l’idea si combina, così, magicamente. Ma non accade sempre.

Mi stai parlando di una combinazione reale tra arte e vita e di quanto gira intorno in quel preciso momento…
Esatto. I fatti della vita fanno in modo di concatenarsi in maniera risuonante. Questo video, ad esempio, è reale, non è un video “messa in scena”.

Ma cosa è indispensabile per essere un buon artista e cosa per fare buona arte, anche senza essere un bravo artista?
Ci sono personaggi, cosiddetti “furbi”, nel mondo dell’arte che hanno messo in scena una serie di elementi che fanno pensare, apparentemente, che quello sia un buon artista. Questo accade sia nell’arte contemporanea sia nell’arte, diciamo, un po’ più commerciale. Ci sono una serie di ingredienti che lo permettono, ma lo stesso potrebbe essere per un lavoro più concettuale. Ad esempio un lavoro in cui si decida, concettualmente, cosa si debba fare per essere un “bravo artista”. Uno può anche costruirlo e dire: “quale è l’idea che la società ha di come debba essere un artista?”. Già questo potrebbe essere un lavoro concettuale. Mi sembra che proprio qualche anno fa qualche artista russa ha creato il quadro perfetto, affermando ad esempio che debba essere monocromo, di colore azzurro, che deve contenere la figura di una donna, debba contenere un paesaggio, ci debba essere pittura stesa in un determinato modo, ecc…. Quindi, in realtà, ci sono una serie di connotati per cui l’oggetto venga riconosciuto e classificato come tale. Gli ingredienti però, a differenza di altri ambiti come per esempio l’ingegneria – in cui occorre costruire qualcosa che sia funzionale e funzionante – nell’arte c’è bisogno di una mediazione tra il pensiero e l’oggetto. Ci deve essere una specie di tramite, ci deve essere una sorta di facilità nell’avere delle intuizioni. Come dicevo prima, il grande artista lo si scopre nell’esecuzione dell’opera: come riesce a farla, a renderla inattaccabile, da fare in modo che non abbia cadute o debolezze. A differenza di tanti altri mondi, in questo gli ingredienti sono indubbiamente il talento, anche se non deve essere per forza di tipo accademico, ma deve essere il talento della lettura del proprio pensiero e la successiva capacità di tradurlo in oggetto. Sempre che questo riesca. Non sempre questa cosa accade. A volte il pensiero è buono ma l’oggetto è debole. Certi oggetti a volte sono deboli pur essendo generati da un pensiero solido. O viceversa. Mi viene in mente, ad esempio, Ron Mueck che realizza sculture iperrealiste ma si vede quanto dietro ci sia un pensiero debole. Realizza un lavoro in cui si vede, dalla resa delle vene o dei peli, quanto ne resti impressionato, ma presto ti accorgi che è solo un aspetto superficiale e non c’è dietro un forza di pensiero davvero trascinante. La capacità di scegliere la propria idea e dire “è questa”. Da qui nasce “il taglio è questo”, “il materiale è questo”, “il colore è questo”. L’artista decide proprio come fosse un regista. Sta solo qui la difficoltà: puoi imboccare dieci cose giuste per poi sbagliarne una sola. Ma arrivi allo sbaglio sempre e solo tramite una serie di ragionamenti. In questi casi a volte penso che sarebbe meglio lavorare in gruppo perché così si ha il confronto, si parla e ci si confronta. Adesso, tra l’altro, sta andando anche molto di moda il gruppo perché si tende sempre più a indebolire il mito dell’artista. Così non si sa con esattezza chi siano i protagonisti, gli artisti singoli, anche se poi al suo interno ci sarà un leader. L’elemento importante è che dentro c’è dialogo, perché tra un confronto e l’altro si possono annullare delle debolezze. Se invece sei da solo, parli da solo, ragioni sempre da solo a volte perdi di vista il senso. Ecco che una delle più grandi capacità di un’ artista, a volte, è quella di saper dire “questo va bene”. Ecco la scelta.

Perché, soprattutto, scegliere comporta delle responsabilità...
Sì, poi magari dopo tre mesi ti accorgi che hai sbagliato. Perché se abbandoni l’oggetto che hai fatto e lo riguardi dopo svariati mesi è come guardarsi allo specchio la prima volta. Il massimo sarebbe che tu realizzi un’opera ma poi, tu artista, potessi avere la possibilità di vederla la prima volta, come se non l’avessi mai vista. Ecco che in quel momento avrai il pensiero non inquinato e sincero rispetto a quell’oggetto.

Come se l’oggetto avesse ormai vita propria e si fosse distaccato da te artista.
Poi magari accade anche che tu la difenda così tanto solo perché è opera tua ma se l’avesse fatta un altro diresti “che cazzata!”. Ecco come la mente viene ingannata! Ma conta solo la capacità di saper scegliere le cose. Come prendere una tavolozza piena di colori e abbinare tot verde con tot bianco con tot rosso e trovare la tonalità giusta per poter dire “questo abbinato a quello” che poi alla fine si compone nella somma delle scelte. Quindi, tornando alla tua domanda, indubbiamente occorre talento e capacità di trasferire dal pensiero all’oggetto, avere una mente anche, se vogliamo, particolare. L’altro giorno vedevo in tv il regista Bellocchio che diceva: “Gli artisti sono degli idioti”. E in qualche modo è vero. L’artista, il fotografo come lo scrittore come il cantante e come tutti i sognatori sono un po’ degli idioti perché si occupano di un cosa effimera che non ha una verità oggettiva. E non va neanche giustificato: è quello che è. In un certo senso si è voluto costruire il mondo dell’arte. C’è qualcuno che è andato in qualche modo a catalogare quello che hanno fatto in passato i pittori con le loro opere ma l’arte non nasce come qualcosa che ad un certo punto ha il nome “arte”. La storia ha dimostrato che tante delle opere che venivano realizzate non potevano essere presentate come opere artistiche. Nel Rinascimento, ad esempio, non tutto passava come arte. Si realizzavano degli oggetti che dovevano essere funzionali, come oggi è un po’ per l’architettura.  

L’architettura che non risponde alla domanda “è bello o è brutto” ma “è utile o meno”, come forse dovrebbe fare anche l’arte.
Invece oggi nell’arte rientra tutto quello che è prodotto, anche quello che in passato non sarebbe mai stato concesso. C’è un passaggio nel Corano che dice che le persone che avranno maggiori sofferenze all’Inferno saranno gli scultori. In tutto questo passaggio molto minaccioso si descrivono noi occidentali che riprendiamo o cerchiamo di riprodurre le immagini, il volto di Dio, la figura, ecc…,come fautori di un peccato gravissimo, quello della rappresentazione. “Nel passato quindi tutte le creazioni nascevano come arte contemporanea”. Non è vero! E’ un’invenzione recente questa qua, non è vero! In realtà si fa una costruzione teorica e si cerca di costruirci un mondo ma, di fatto, non c’è questo mondo. Mentre esiste quello della finanza o quello delle carni bovine quello dell’arte non esiste. Così concordo con Bellocchio, che ovviamente anche lui si sentiva rientrare in questo commento, perché c’è questo atteggiamento abbastanza illusorio di guardare al mondo. Pensando a Dostoevskij, lui diceva che la bellezza salverà il mondo. Lo stesso ogni artista pensa che grazie al suo operato potrà salvare il mondo. Picasso ogni giorno dipingeva e ogni giorno pensava che stesse salvando il mondo, “lottava per migliorarlo”.

Equivale a credere di poter lasciare il mondo migliore di quanto lo si è trovato.
Ma è un luogo comune! Non è vero, non corrisponde. In realtà bisogna negare tutto: ecco la verità. Non c’è un mondo contemporaneo, non c’è un’arte contemporanea, non c’è. La si inventa da quanto è astratta e in qualche modo si cerca di darle una forma. Ecco giustificata la presenza di tanti pareri contrastanti, chi su qualcuno afferma “è un genio!” e altri invece “no, è un cane!”. Una volta era molto più facile: se sapevi suonare il pianoforte in un certo modo era un risultato oggettivo, come potrebbe essere per uno sportivo ottenere certi traguardi. Ecco che invece questo astrattismo dell’oggetto, in una tale transitorietà del mondo, lo si cerca di definirlo e di connotalo ma è come una piovra. È come acqua nell’aria.  
     
Parliamo ora di un operaio che sta per entrare in fabbrica. Alza gli occhi al cielo e in vetta all’enorme complesso della fabbrica legge: “Il lavoro rende liberi”. Si rincuora, tira un sospiro di sollievo ed entra[1]. Ti chiedo un aggettivo per descrivere questo lavoro e la libertà.
La frase è una citazione dai campi di concentramento di Auschwitz e in questo lavoro ha una funzione ironica e provocatoria perché ovviamente in quel contesto la libertà non c’era ma libertà era uscire da quel posto. Io ho ripreso quella frase e lo unita a quella fabbrica che in quel caso era la Fiat ma poteva essere qualsiasi altra, la General Motors, la Microsoft o qualsiasi altra fabbrica in cui la gente perché io da “idiota”, ossia l’artista come diceva Bellocchio, ritengo che il lavoro abbruttisce. Ma allora davvero il lavoro ti rende liberi o piuttosto ti schiavizza tutta la vita? Il lavoro ti fa sopravvivere ed ecco che è una libertà relativa. Il mio slogan in quel lavoro era ironico ma legato al pensiero del lavoro, non di quella azienda in particolare. Il mio slogan non è legato agli Ebrei o alla Shoa, è solo un simbolo e, come tutti i simboli, è un punto di riferimento da seguire. Ecco che se una persona va in fabbrica e lavora è un po’ simile a quella persona che andava a morire. Quel “Il lavoro rende libero” assume la stessa valenza di una religione che ti tranquillizza dicendo “soffri e fatica in questa vita perché poi sarai ricompensato in quella futura”. E questa è proprio la mia polemica contro il fatto che tutti vogliono lavorare e tutti vogliono avere….

…..la sicurezza del “posto fisso”…..  
Giustamente! Perché il mondo è legato all’economia ed è legato a dei parametri che se decidi di non seguire sei distrutto. Il comunismo ci ha provato a dare la sua risposta e lo stesso il capitalismo ci sta provando, ma anche questo ha una sua fine. Ecco che se non segui quella strada, per la massa di persone che siamo, sembra impossibile sopravvivere. Così se riesco ad avere milletrecento euro a fine mese posso dire: “In fondo sono anche fortunato perché ho un lavoro!”. Ma allora mi rendo conto che la vita, l’artista idiota te lo fa notare e ti dice: “il lavoro ti rende libero”. “Perfetto” è la risposta, e lui è come me e va a prendere questi soldi. “Altrimenti cosa faccio? Vado a rubare? Devo ammazzare per prendere questi soldi?” è in genere la domanda che viene fatta. Questo perché il sistema è costruito in questo modo e tu sei intrappolato all’interno. Non dico che sia giusto ma riflette che la vita passa e una volta che è passata la giovinezza la vita è passata. Poi magari hai una bellissima vecchiaia ma una volta che è passata la giovinezza, che è passata l’energia di correre, saltare con le tue gambe e non rompi le balle agli altri e sei indipendente, se ne è andata via buona parte del tuo tempo. Io non voglio essere un peso per gli altri. Non voglio diventare vecchio ed essere di peso ai miei figli. Quando ormai è passata la giovinezza come capacità di essere abile, ritengo che oramai sia passata la vita. 

Il tuo approccio all’arte, il tuo essere idiota-artista, lo si potrebbe paragonare ad un animale? E quale?
Vorrei tanto più essere un animale che un essere umano, anche senza la coscienza perché non è sempre così positiva. Si ha sempre l’ansia della morte che l’animale non ha, non sa che un giorno morirà. Nel oro caso o ti mangiano altri o muori lì per lì. Noi invece passiamo tutta la nostra vita, ad un certo punto poi divenuti adulti, sapendo che un giorno moriremo. Questa cosa ti accompagna e ha anche il suo bello ma poi non basta mai perché devi sempre coltivare, sempre costruire un maggiore interesse. Ma la  vita è fatta anche di cazzate e non riesci ad essere sempre ad un livello che il tuo cervello sia stimolato. Quindi io la coscienza la lascerei volentieri anche a qualcun altro! In questo mondo anche se volessi essere un animale non puoi: ti sparano! Ti fanno fuori! Certo che mi piacerebbe volare! Poi però passa il cacciatore che mi spara o passa un altro rapace che mi prende via con sé. Oppure mi piacerebbe essere un cavallo, uno stallone, o anche un gatto, ma devo sapere che è pericoloso. In questo mondo una delle cose più perfette sono proprio gli animali, a prescindere dell’ essere umano che vive di merda la maggior parte del suo tempo. Fanno eccezione  gatti e cani viziati con il loro bel collarino con il nome, hanno la cuccetta, hanno la pappa buona ma io vivo qui a China Town e qui un gatto non si vede perché i cinesi fanno fuori tutto! Perché in Oriente c’è questo detto. “Qualsiasi cosa che si muove è mangiabile”, ossia qualsiasi cosa che striscia o che si muove può essere mangiato. Ovvio che nelle condizioni in cui questi uomini fanno vivere gli animali preferisco non nascere animale, anzi preferisco non nascere. Sempre che mi vada così bene di nascere in un Paese di questo mondo abbastanza libero che non mi faccia neppure penare di essere nato uomo. Perché nell’80% di questo mondo i diritti civili non esistono. Noi vediamo la realtà di questo mondo con altri occhi perché noi viviamo in questo Paese fortunato, ma non è così, è una tragedia. Mi piacerebbe nascere, sì, un uccello rapace, un falco, certo non un lombrico, ma effettivamente è pericoloso! Dopo che nasco cercano subito di uccidere; almeno un pollo muore subito, con la testa tagliata, ma il maiale ad esempio muore male. Gli tagliano la vena e fino a quando non è dissanguato non muore questo poveraccio. 

Quasi verrebbe da invertire la scala gerarchica, sempre che ne esistesse una, e porre al primo posto le pietre, poi gli animali e  le piante, infine, in basso, l’uomo.
Questo uomo, questo essere umano (dopo “Il lavoro rende liberi” voglio fare un lavoro sugli animali) è crudele. Ora non voglio passare da quello che odia la razza umana ma mi avvicino, è cattivo. È meno cattivo il leone che almeno si mangia vivo lo gnu ma almeno lo fa quando davvero ne ha bisogno. Come al tempo dei dinosauri (proprio ieri guardavo un documentario) che tutti pensano che i tirannosaurus rex fossero stati terribili, che rincorrevano e sbranavano la preda. Ma non è vero: mangiavano le carogne. I loro  denti non erano come quelli di altri simili che erano come coltelli ma erano denti che spezzavano le ossa. Loro avevano le zampine corte e non potevano afferrare un bel niente!

I veri tirannosauri siamo ma noi umani!
L’essere umano è davvero di più, di più crudele. È inenarrabile la cattiveria, il sadismo che riesce a produrre un uomo. Riesce a fare anche del bene ma riesce a fare anche del male “grazie” al male che hanno prodotto altri. Questo è un mondo crudele, la parte dei buoni è in minoranza, c’è poco da fare. È veramente pericoloso. Tu pensi di vivere in Italia e che sia un Paese libero? Basta che ci sia un colpo di Stato e ti trovi a casa tua gente che ti porta via il fratello e il 40/50 % delle persone del tuo Paese te le ritrovi nemiche anche se oggi apparentemente non sembra che tu abbia nemici. Io vengo da un Paese l’Jugoslavia e questa cosa l’ho vissuta. Sembravano tanto fratelli, sembrava che tanto odiassero i tedeschi o che odiassero gli italiani che chiamavano “mangiagatti”, sembrava tanto che avessero vinto la guerra con Tito, è bastato un attimo, subito dopo morto Tito, e ogni Repubblica è voluta essere indipendente e si sono scannati tutti: ben duecentocinquantamila morti. Il Danubio era rosso. Rosso di sangue, non per le luci del tramonto. Ma come mai, da dove cazzo nasce questa cosa? Ad un certo punto si scatena un qualche cosa in cui altrochè che animale vuoi nascere! Ma allora davvero forse meglio non nascere in questo pianeta.

[Attimo di pausa. Poi l’attenzione di entrambi torna sul video “Fine,appena,mai” che durante l’intervista continua a svolgersi sullo schermo].


La cosa che mi piace di questo video è che è come deve essere l’arte: vero. L’arte deve essere vera, non deve essere finzione. Invece si tende oggi a essere molto raffinati come i designers. Il design è finto. L’abbellimento eccessivo di un oggetto è finto. Invece l’arte può essere fatta con materiale povero (infatti mi piace molto l’arte povera) però deve essere vero. Beyus metteva insieme degli assemblaggi diversi ma gli oggetti avevano verità all’interno e quindi trasudavano verita’. Pensa che questo video è nato in un momento preciso, che ha un significato. In uno primo momento potrebbe sembrava che voglia provocare shock e invece per me, come nessun mio lavoro, non deve generare shock. 

Infatti la mia domanda è: meglio stupire per ottenere o ottenere di stupire?
Io ti posso dire cosa vorrei essere nella vita: o un comico o uno sportivo. Però il numero uno. Quindi mi piacerebbe stupire perché la meraviglia della risata è una cosa magica. Quando una persona ride per una tua battuta è una cosa meravigliosa. Trovo che sia la più grande abilità di un essere umano questa capacità di far ridere. L’essere esilaranti ed essere un comico: questo uno dei miei sogni. L’altro invece è l’essere nato come campioncino in qualche disciplina , come nei 100 metri piani, in modo tale che la mai vita fosse passata a correre (in questo caso “la corsa rende liberi” invece del lavoro). Invece nell’arte è il mettere insieme queste due cose e cercare, più di stupire o scioccare, meravigliare. Vorrei che chi si trova di fronte a una mia opera vivesse un’esperienza. Il video che stiamo vedendo è di un moneto particolare della mai vita. Stavo divorziando e volevo addirittura farlo con l’altra persona che però, quando è venuta sul set si è ritirata perché si  spaventata[2]. Così ho deciso di farlo da solo e ho collegato con un filo conduttore i tre punti del mio corpo, testa, cuore e stomaco (ossia i tre punti emotivi) per poi steccare i legami che mi univano a questo fiore, che mi ero appuntato sopra il cuore che poi lasciavano libero, spurgando con del salasso il sangue che sgorgava dal cuore. Qualcuno potrebbe anche dirmi: “ma come, soffri ma sei anche così razionale da costruirci un lavoro?”. No, la mia risposta. Il lavoro è arrivato dopo, prima con u disegnino, poi il video, con tutta la sua costruzione. Poi mi sono preso la briga di realizzarlo anche se l’altra persona si è rifiutata di farlo insieme a me.

Il giglio invece cosa rappresenta?
Il giglio mi rappresenta. Una volta ho fatto un film con Squiteri che mi disse: “Tendi un po’ a fare il teatrino”come attore . Questa osservazione mi viene alla mente spesso perché effettivamente in parte è vera. Non so perché ma a volte quando realizzo dei progetti tendo a fare del teatrino ma solo perché sono anche come persona così. Tendo a costruire delle scene che possono sembrare finte ma sono vere nel momento esatto in cui nella vita quello sono io. Anche quel fiore rientra in questo teatrino che sono io. Anche De Chirico inscenava i suoi teatrini, in parte anch’io e già come attore tendevo in questo. Squiteri aveva colto. D’altra parte quello che sono oggi io e’ il risultato di migliaia di anni di combinazioni di dna … fino a generare me. Qualche giorno ho trovato una foto di mio padre e devo dire che gli sto assomigliando sempre più e questa cosa non mi piace! Da giovane non assomigliavo a nessuno della famiglia e mi chiedevo “chissà da chi ho preso…2 e invece adesso che sto invecchiando inizia a essere tutto più chiaro!  

Prendiamo tutti da qualcuno, alla fine siamo anche poco  originali!
Sempre da qualcun altro! Così tu scopri di aver ereditato delle caratteristiche , malgrado te.

Ma la parte che più ami del tuo corpo qual’è?
La bocca. Sono sicuro. Il mio è un lavoro orale, sarà anche legato ad un ansia orale. Effettivamente ho realizzato tantissimi lavori con la bocca. Tra l’altro amo molto il cibo piccante, anche se adesso non lo mangio più. Mi piaceva proprio sentire la bocca bruciare. Quindi i denti, le labbra, il contorno della bocca, le gengive, i colori. Quando ad esempio incontro una persona con una bocca che mi piace rimango subito affascinato. La persona può essere anche brutta ma, se ha i denti e la bocca bella, è già bella. La bocca è la prima parte dell’apparato digerente e se questa persona è sana così apparentemente, significa che è sana anche all’interno e ottima per riprodursi. Se invece ha i denti marci, con la lingua strana, le gengive nere, una bocca che ha una forma strana, le labbra sottili , ecc….oh, io con quella non mi riproduco!!    


 (Pubblicata su ESPOARTE di GIUGNO-LUGLIO 2006)



[1] Il riferimento è all’opera Attacco al Sistema (Fiat), stampa fotografica su alluminio, cm 125x80, 2005.
[2] Il video mostra l’artista mentre, con ago e filo, si appresta a cucire parti del suo corpo, fino a congiungere più zone e lasciando il filo sottocutaneo.

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