Intervista ad ALFREDO JAAR
di Marta Casati
OTTOBRE 2008 MIlano
Ci sono incontri che lasciano segni più
significativi di altri. Questo è uno di questi. Perché Alfredo Jaar è un artista,
è un architetto, è un film-maker ma soprattutto è un individuo che utilizza
l’arte come strumento di interazione con il contesto sociale e politico
globale, denunciando e puntando il dito sul concetto di emergenza e
oppressione. It’s difficult,
il recente binomio di solo show
in corso allo Spazio Oberdan e all'Hangar Bicocca a cura di Gabi Scardi e
Bartolomeo Pietromarchi, diviene l’occasione più adatta per approfondire
diverse tematiche …..
Questa intervista nasce in occasione delle mostre milanesi. Il progetto ha natura antologica raccogliendo fasi diverse della tua ricerca artistica e nell'arco di un lungo periodo di tempo. Credo che non sia stato facile organizzare due mostre di questa portata, per questo motivo mi parlasti delle difficoltà che avete incontrato nel realizzarlo?
È stato molto difficile perché ho creato più di
cento opere negli ultimi trent'anni. Questa mostra non è una retrospettiva, ma
semplicemente una selezione di opere, un’antologia. Abbiamo guardato ai grandi
temi e alle grandi questioni e selezionato alcuni dei soggetti più importanti
come le mie preoccupazioni per l’Africa o il mio grande interesse per i media.
Ma volevamo anche mostrare le mie opere su altre aree, come l’America latina o
l’Asia. La decisione finale sulle opere da selezionare è stata presa anche
tenendo conto delle loro dimensioni, in quanto si esponeva in spazi
architettonici molto diversi. Abbiamo selezionato determinate opere
specificatamente per lo Spazio Oberdan, le cui dimensioni sono molto raccolte,
e invece opere di maggiori dimensioni per l’Hangar Bicocca. Le dimensioni sono
state decisamente un fattore importante nella scelta finale.
I privilegi invece quali sono e quali sono,
ossia Lo spettatore che si accinge a visionarla potrà ritenere di visitare una
completa ed esaustiva raccolta dei tuoi progetti o solo una parte e di alcuni
anni in particolare?
Penso che il pubblico dovrebbe essere in grado di
carpire il mio io artistico e la tipologia delle mie opere e anche il mio modo
di pensare. Spero che il pubblico percepisca l'energia che mi fa andare avanti.
Le opere che appartengono a "The Ruanda
Project" nascono e sono state realizzate tra il 1994 e il 2000. Dopo tanti
anni trascorsi in Africa, se pur non continui, cosa puoi affermare di aver compreso
di questa terra? Cosa, invece, reputi che ancora non ti appartenga e forse non
ti apparterrà mai?
Dopo tutti questi anni di lavoro in Africa ho
capito di aver compreso molto poco di questa terra ed è per questo che continuo
a lavorarci, perché voglio capire di più e comprenderla meglio: vorrei capire
meglio cosa sta succedendo in Africa; vorrei capire meglio perché il mondo
tratta l'Africa come la tratta, perché il mondo rappresenta l'Africa così come
la rappresenta; vorrei capire meglio le relazioni esistenti tra africani e non.
Onestamente posso dire che capisco poco. Il mio lavoro è un esercizio modesto
di comprensione di un continente ed un popolo straordinari.
Nei tuoi progetti l'obiettivo principale sembra
quello di generare una visione che condanni e denunci uno status di cose che
deve essere mutato, perché chiudere gli occhi su condizioni politiche ed
economiche allarmanti non sarebbe di certo la strada più corretta. Credi di
dover aggiungere o modificare qualcosa in questo mio commento? E' una visione limitata vedere la tua forma di
fare arte come un modus di fare critica sociale?
Prima di tutto sono un giornalista frustrato, per
cui quello che cerco di fare col mio lavoro è informare le persone su alcune
situazioni che ritengo siano state ignorate. Ma cerco di farlo poeticamente
perché non sono un giornalista, ma solo un giornalista frustrato. Il mio lavoro
è fatto allo stesso tempo di informazione e poesia e spero che l'incontro di
questi due elementi renda il pubblico consapevole dell’esistenza di alcune
realtà, lo informi su di esse, ma soprattutto lo emozioni, gli offra un momento
di riflessione e lo spinga ad agire. È un progetto molto ambizioso che è
ovviamente destinato a fallire.
VF
Quali reputi essere la denuncia politica ed
economica più profonda e significativa che mai sia stata fatta negli ultimi
decenni- nel mondo dell'arte ma non solo - e da chi?
Non ci ho mai pensato. È una domanda difficile.
Penso che nell'ultimo decennio sono nati talmente tanti movimenti di protesta
che per me è difficile segnalarne uno. Ma, ad esempio, ho notato che esiste
oggi una preoccupazione crescente per l'ambiente. Si tratta di sviluppi
relativamente recenti, o perlomeno oggi più visibili che mai. Trent'anni fa
pochi si interessavano all'argomento; oggi invece si assiste ad una crescente
presa di coscienza, una nuova e seria questione ambientale. Oggi pensiamo alla
qualità dell’aria che respiriamo, dell’acqua che beviamo, del cibo che
consumiamo, al riscaldamento globale ecc... Ma penso che questa sia solo una
delle risposte possibili.
Il concetto e la definizione di
"geografia" ritorna spesso nei tuoi progetti, sia nel titolo (penso a
"Geography=war" -
installazione del 1991 che riferimento alll’episodio dei rifiuti tossici tra
Italia e Nigeria) sia nella trama concettuale dell'esperienza condotta (basti
pensare a "Logo for America", un progetto di parole e immagini del
1987 realizzato per un edificio di Times Square a New York.). Potessi dare una
tua spiegazione specifica del significato di "geografia", corredandolo
di maggiori e più profondi significati, cosa diresti?
David Harvey, che stimo moltissimo, scrisse che la
geografia è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei generali.
Ritiene che la geografia sia una materia fondamentale da conoscere per
comprendere il mondo, per capire perché il mondo è quello che è oggi. E io sono
d'accordo con lui. Per questo ho creato una serie di opere chiamate
"Geografia=Guerra", perché la geografia è molto di più del paesaggio
fisico di una nazione. La geografia deve essere letta in termini sociali,
politici e culturali, in un contesto molto più ampio. Credo che la geografia
finora non sia stata considerata correttamente come insieme di conoscenze che
aiutino a comprendere il mondo, e penso invece che lo debba essere.
Una mia curiosità: ti piace essere intervistato?
Cosa ti piacerebbe ti venisse chiesto?A tal proposito ti chiedo di formularti
da solo una domanda e di fornirti la risposta in modo tale che la notizia possa
essere nota e ben chiara.
La domanda è: “Perché è così difficile?” e la
risposta è: “Sono stato un artista per più di trent’anni e non ho imparato
niente. Ho l’impressione che diventi sempre più difficile perché il mondo
diventa sempre più complesso, ci sono più tragedie e più ingiustizie. Mi pongo
sempre la stessa domanda ogni giorno all'inizio della mia routine giornaliera
allo studio: come posso fare arte in un mondo in queste condizioni, come si fa
arte in questa situazione? Ma non so rispondere. E proprio perché non so
rispondere, dico che è difficile e non ho paura di ammetterlo. Credo che sia
molto importante per un artista riconoscere i propri limiti, le difficoltà,
ammettere che è difficile e incorporare questa difficoltà nelle proprie opere.
Ed è per questo che lavoro in serie, che una questione si traduce in
venticinque opere. Lavoro in serie perché le mie opere diventano esercizi:
provo una strategia e non funziona, ne provo un’altra e non funziona nemmeno
quella. Quello che sto cercando di fare è difficile ed è per questo che
definisco le mie opere futili esercizi, proprio per superare queste difficoltà.
Mi piacerebbe sapere da cosa trai il piacere
della lettura: leggi giornali come i quotidiani o ti affidi ai classici della
letteratura? Senza nascondere il reale senso della domanda, credi che oggi si
possa leggere un giornale senza ritenere che l'80% delle informazioni che vi si
trovano non siano alterate/forzate/modificate?
Inizio le mie giornate recensendo i quotidiani su
internet. Leggo le informazioni da diversi mezzi di comunicazione di tutto il
mondo ed in lingue diverse. Per me è importante confrontare quello che viene
detto e cercare di leggere tra le righe: è il solo modo di crearmi una mia
versione della realtà, la mia visione del mondo, perché non mi fido di alcun
mezzo di informazione. Quando ho tempo, per divertirmi ascolto musica, in
particolare musica africana contemporanea. Colleziono musica africana
contemporanea, è la mia passione, una parte molto importante del mio mondo. Mi
piace anche leggere, e il mio genere preferito è la poesia. Possiedo una grande
raccolta di libri di poesia di tutto il mondo. Ungaretti è uno dei miei poeti
preferiti. E poi mi piace molto andare al cinema e ci vado il più possibile.
Chiedo spesso, a ogni artista o addetto
dell'arte che intervista, tre aggettivi che in qualche modo descrivano l'arte
contemporanea e lo faccio anche con te.
Penso che sia impossibile rispondere a questa
domanda, perché l’arte contemporanea non è monolitica. L’arte contemporanea è
un insieme di sistemi con al suo interno tanti piccoli sistemi. Alcuni di
questi sistemi interagiscono fra di loro, alcuni si toccano e altri si ignorano
del tutto. Non si può definire l'arte contemporanea come mi hai chiesto perché
si tratta di una complessa rete di sistemi a più strati. E ogni giorno vengono
inventati nuovi sistemi. Purtroppo la stampa in genere dà, erroneamente, una
visione monodimensionale dell'arte contemporanea. Non è stata in grado di
trasmettere al pubblico la complessità dell’arte contemporanea. Ed è per questo
che non posso rispondere alla sua domanda.
Stai progettando il tuo prossimo intervento?
Quale paese sarà coinvolto. Dammi qualche anticipazione.
Il mio prossimo progetto è un intervento pubblico
nella città di Stavanger, in Norvegia. Sto creando un monumento permanente
contro il riscaldamento globale.
Alfredo Jaar è nato nel 1956 a Santiago del Cile. Dal 1982 vive e lavora a New York.
(Pubblicata ESPOARTE di dicembre 2008-gennaio 2009)
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