lunedì 11 febbraio 2013

SUBODH GUPTA

 
Intervista a SUBODH GUPTA
di Marta Casati



Raccontare la complessa situazione socio-economica del suo Paese, l’India, con la semplice e facile riconoscibilità delle sue strumentazioni casalinghe più comuni: questo, ma non solo, è uno dei più grandi meriti della ricerca artistica di Subodh Gupta.
La trasformazione che la società indiana, rurale e metropolitana sta subendo non permette che le sue componenti più antiche vadano perdute. Per avvalorare la potenza di tale fenomeno, Gupta utilizza utensili da cucina come lettere di un alfabeto pronto a narrare dinamiche, in bilico tra passato e futuro, tradizione e innovazione. Incontrare e intervistare Gupta non è stato privo di sincera emozione.



Descrivendo una delle opere, l’opera principale in mostra alla Galleria ContinuaI, hai avuto modo di sottolineare l’importanza dello spazio della cucina nella vita quotidiana indiana e hai affermato che :”Quando ero bambino, vedevo questa stanza quasi come un luogo di preghiera, una sorta di tempio. Per me  uno spazio carico di spiritualità. Ma, sicuramente, è anche una ambiente della vita quotidiana: l’80% degli indiani si servono degli utensili da cucina in acciaio inossidabile. È un materiale molto paradossale: attira la luce, risplende e tuttavia rimane profondamente associato alla cultura popolare”. Nel mio recente viaggio nel tuo Paese ho avuto modo di constatare come questo sia più che reale, come gran parte della vita di ogni giorno si svolge qui e come non sia solo una “stanza”. L’impiego dell’acciaio in molte tue opere vuole essere il simbolo di questa situazione così importante per il nucleo familiare indiano?
L’acciaio in India è il materiale quotidiano per eccellenza. Per tal emotivo esso assume una simbologia tanto forte nel mio lavoro, densa di molteplici significati. Quando inizi la tua giornata e fai colazione usando la scodella o qualsiasi altro utensile è come se un nuovo ciclo prendesse inizio, una nascita o una morte si compissero. Per questo ritengo che l’acciaio abbia più simbologie e che non possa essergli attribuito un solo significato.

C’è un sentimento specifico che vorresti che un qualsiasi spettatore si portasse via con te, fino a casa e oltre, dopo aver visto questa o un’altra tua mostra?
Non potrei rispondere a questa domanda affermando che esiste un solo significato o un solo sentimento. Non voglio imporre niente e non vorrei che qualcuno traesse dai miei lavori solo quello che io voglio. Per prima cosa, quando si fa arte occorre comprendere che l’arte stessa è trasformazione e cambiamento. Lo stesso accade per me. Il materiale che utilizzo è come se subisse un cambiamento, per questo per l’osservatore non è necessario comprendere ciò che si vede, ma ciò che sente.
Il messaggio che porta a casa, dopo aver visto una mostra, è diverso da persona a persona. Lo stesso accade quando vai a teatro o a vedere un film: il significante assorbito è talmente individuale da variare in maniera netta da persona a persona.

Ti ho voluto rivolgere questa domanda perché mi è capitato di incontrare artisti che avessero questa esigenza e nei tuoi confronti è stata come una sorta di provocazione… 
Infatti non vale nel mio caso. Credo che in un’opera sussistano insieme molti significati, solo così l’arte potrà definirsi tale.
Ogni mente è individuale e solo a livello individuale può registrare cosa vede.

In Italia e nel resto d’Europa l’attenzione verso l’arte indiana è sempre più frequente ed attuale, sia a livello di galleria private che di spazi pubblici. Speri che sia un interesse reale (come lo spero anche io vista l’alta qualità delle ricerche di alcune di queste proposte) o sia una moda del momento destinata a non restare?
Posso dirti che si tratta di un atteggiamento molto vicino alla moda ma, nello stesso tempo, c’è qualcosa di molto più radicato. La mia esperienza lo dimostra dato che ho preso parte alla mostra collettiva del 2001 sempre alla Galleria Continua. In questo caso non si è trattata solo di moda ma di un lavoro che già era cominciato da molti anni.

Spesso, per realizzare le tue opere, sei solito scegliere grandi dimensioni che occupano e impiegano un ampio spazio. La dimensione è così importante da assumere una valenza concettuale?
Generalmente, per realizzare i miei lavori, utilizzo la grande come la piccola dimensione. Prima di approdare a pieno nell’universo dell’arte contemporanea ho lavorato nell’ambito del teatro e per questo adoro le atmosfere drammatiche che poi intendo ricreare sulla scienza. Spesso la grande dimensione mi permette di connettermi al drama feeling e, specialmente nello spazio/platea offerto dalla struttura della Galleria Continua, questo senso di luci ed atmosfere è più che mai possibile.

E, infatti, densa di luci teatrale e racchiusa in un’atmosfera dai tratti drammatici è anche l’opera collocata in una sorta di caverna negli spazi sotterranei della galleria, realizzata con moltissime giare in ottone e corde. Il suo titolo è Bhandarghar, cosa significa?
In India in ogni casa esiste una store-room, una specie di stanza-dispensa dove è possibile conservare e custodire il cibo. Il nome di questo luogo è bhandarghar, appunto. Questa stanza è come se fosse il tesoro della casa, un nido di alimenti e sostanze preziose, cibo, acqua, utensili e molto altro. Tutto è posto con ordine e attenzione, proprio come se fosse un negozio molto prestigioso da tenere con cura. Questo è un luogo dalla valenza spirituale e simbolica molto forte. Quando ho appreso e visto per la prima volta l’esistenza di questa nicchia nella pietra, nei pressi del sottosuolo della galleria, ho voluto ricreare proprio questa sensazione: restare abbagliati dalla scoperta e dal bagliore di un tesoro.

Un attimo di nazionalismo: cosa ha più l’India che nessun altro Paese potrà mai avere?
In realtà voglio dirti cosa ho trovato qui in Italia di indiano che solo qui riesco a trovare: le tegole in terracotta.

Le tegole in terracotta? Pensare che io sono rimasta colpita dalla diffusione, ma anche resistenza, dei tetti realizzati con le foglie di palmaII, non ne ho visti così spesso in terracotta!
Infatti, dipende dalla zona in cui sei stata. Io provengo dal Bihar e lì è molto frequente vedere questo tipo di copertura per le abitazioni. Quando venni per la prima volta in Italia questa particolarità e comunanza con il mio Paese mi colpì all’istante.

Sei un artista che utilizza video, scultura e pittura con duttile facilità. Mi piacerebbe sapere cosa ottieni da una tecnica e non dall’altra.
In un primo momento mi esprimevo soltanto con il mezzo pittorico. Ho cominciato a creare con la scultura solo nel 1997. La pittura ha segnato il mio inizio artistico mentre la scultura raccoglie il mio volermi espandere fino ad accogliere gli insegnamenti e il fascino offertomi dal teatro. Come per un attore è basilare – per la sua professionalità ed evoluzione – saper interpretare più ruoli, ognuno diverso dall’altro, lo stesso accade nella mia arte. Io sono un artista e ogni medium non è importante in quanto tale ma perché espressione del mio voler fare arte. Facendo questo lavoro posso esprimermi, in ugual modo, facendo un disegno, realizzando un video o componendo una scultura: esprimo parte della mia indagine. Il mezzo artistico che si sceglie è importante ma nello stesso tempo perde valore se rivestito di una importanza fine a se stessa.

Solitamente chiedo agli artisti o agli addetti ai lavori di darmi tre aggettivi per descrivere l’arte contemporanea. Lo stesso chiedo anche a te.
Per me l’arte è quella dimensione dalla quale ciascuno dovrebbe trarre il maggior piacere possibile. Non potrei scegliere tre aggettivi per descriverla, preferisco regalarti un’immagine che possa rappresentarla al meglio.
La immagino come un bicchiere d’acqua dove, la sostanza liquida all’interno, è visibile grazie alla trasparenza del vetro esterno.
Quando tu lasci cadere all’interno dell’acqua una goccia di colore accade qualcosa: l’acqua inizia a colorarsi e la sua natura iniziale man mano cambia e si trasforma in qualcosa di nuovo.
Lo stesso accade nell’arte. la novità sopraggiunge e inizia a dilatarsi. A ciascuno è lasciato la possibilità di osservare e indagare tale espansione.

Subodh Gupta è nato nel 1964 a Bihar, in Khagaul (India).    
Vive e lavra a Delhi.



(pubblicata su ESPOARTE di giugno-luglio 2008)


I La mostra alla quale mi riferisco è There is always cinema, la personale ospitata alla Galleria Continua durante l’opening della quale ho avuto modo di incontrare e intervistare Gupta.
II Basta leggere come li descrive Norah Richards: “Alcuni pensano che i tetti in paglia siano primitivi e fuori moda. Forse hanno ragione ma non esiste tetto più grazioso alla vista e più comodo per chi vi abita sotto: fresco in estate, caldo in inverno, sempre in silenzio, anche nella tormenta”. (in Country Life – Diario Indiano, Stampa Alternativa, 1970, pag 145).  

1 commento:

  1. Complimenti per il blog, dai una quantità di informazioni incredibili per chi è molto interessato al contemporaneo e a capire determinati artisti. Ho molto apprezzato l'articolo su Christo e Jeanne-Claude, anche perchè intervistarli sarebbe il mio sogno, li ritengo, oltre che la coppia più poetica del mondo dell'arte degli anni 90, anche due dei più geniali artisti del nostro tempo.

    Complimenti ancora.

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