Intervista a DAVIDE
BALLIANO
di Marta Casati
2009
Avevo curato la sua prima personale in Italia solo tre anni fa ma in questo frangente la sua evoluzione stilistica è divenuta sempre più matura, decisa, riflettuta. Davide Balliano (classe 1983, nato a Torino) esplora la fotografia, il video ma anche la performance seguendo coordinate rigorose, fedeli a un registro estetico mai discordante tra sé, proteso a scardinare il muro dell’immediato visibile.
La tua recente mostra, My tears will be light in the night of your eyes da Jacopo Jarach a Venezia, sviluppa le coordinate tematiche, concettuali ed estetiche affondando le sue radici nell’antichità della cultura occidentale. Il richiamo ai capisaldi scultorei del mondo classico sono citati e chiamati in scena con dichiarato intento ma, nel contempo, elaborati dal tuo intervento con asciutta pulizia. Parlami tu di questo progetto, da dove nasce, di come si è sviluppato, cosa nasconde dietro la sua facciata, appunto, classicheggiante.
L’Arte classica e antica ci permette di passare attraverso i secoli,
di ripercorrere il tempo che è stato, come se fosse un’antologia umana. Più che
il significato artistico, di questi lavori m’interessa la capacità che hanno di
essere simbolo del momento a cui erano contemporanei. Il tempo come elemento
autonomo e la sua relazione con il tempo mortale, sono al centro della mia
ricerca e dei miei interessi.
Da circa tre anni ti sei trasferito a New York, un cambiamento più
che rilevante sia sul piano personale che su quello lavorativo. Se ti chiedessi
di stilare i pro e,
perché no, anche i contro,
in relazione al tuo lavoro, cosa sarebbe fondamentale sottolineare? In cosa la
tua ricerca si è evoluta e in quale direzione grazie anche a questo cambiamento
di vita? In cosa il piccolo sistema dell’arte italiana è fragile rispetto al
grande sogno americano e in cosa viceversa?
New York è un’isola ed un mondo a sé. Qui s’impara a concentrarsi, a
far chiarezza nei propri pensieri ed a mantenere una direzione. Il mio lavoro
ha preso struttura ed autonomia. La mia ricerca è diventata più solida, meno
vittima dei momenti. L’unico contro di questa città, è la sua velocità. Qui si
corre più di quanto non si credesse di poter essere capaci. Si procede con più
velocità, ma ogni caduta viene pagata più cara. L’Italia ha avuto ed ha ancora
grandissimi Artisti, Curatori, Critici e Scrittori. Molti di loro fanno parte
di una comunità, di un Internazionale dell’Arte che si riunisce ad ogni grande
appuntamento. A questa comunità io mi relaziono ed in lei cerco approvazione ed
accettazione. Chi lavora fuori da questa comunità ha evidentemente fatto delle
scelte che prediligono un approccio locale, che spesso presenta molti vantaggi
immediati. Questo mi sembra sia il caso di alcune realtà Italiane. Ne rimangono
comunque molte di altissimo livello ed eco internazionale.
La performance – posso citare The heart of your mother for my
dogs durata ben trenta ore
lo scorso marzo in The Artist Space in New York - ha ormai rivestito una parte integrante della tua ricerca.
In cosa ti soddisfa a differenza degli altri media? Ti permette di esplorare
quale ambito nel quale il video e la fotografia, per differenza strutturale,
non riescono ad entrarvi?
Della Performance mi affascina l’unicità. Non credo molto nel valore
artistico della documentazione e penso quindi che una Performance dal vivo sia
persa nella sua verità una volta
conclusa. Un lavoro dal vivo è una moltitudine che avvolge con migliaia di
particolari, in maniera molto più immediata rispetto agli altri media.
Nonostante le sue particolarità, generalmente mi relaziono alla Performance con
un attitudine simile alla scultura e all’installazione. Del resto mi relaziono alla
scultura con un approccio curatoriale, alla fotografia con intenti pittorici e
al video con sensibilità fotografica.
Non voglio esimerti dal tormentone destinato ad ogni artista: dammi
i tuoi tre aggettivi per descrivere l’arte contemporanea (e perché).
Individuale, temporale e complessa. Il numero degli elementi è
cresciuto. La comunità dell’Arte si trova a dialogare con una cultura che mai
era stata così accessibile, veloce e globale. Ogni produzione presenta un microcosmo di letture,
significati ed aspetti. Questa moltitudine di punti di vista, sembra simile ad
una folla in cui è facile che la percezione del nostro stato di singoli sia
amplificata.
Mi chiedo cosa tu stia preparando: i tuoi prossimi progetti. Dammi
qualche anticipazione sapendo che non mi accontento solo delle locations:
vorrei sapere su cosa ti stai dirigendo o se, piuttosto, stai approfondendo
strade già intraprese ma ancora da sviluppare.
Sto preparando una Performance per il Plymouth Art Center e nuovi
lavori per una fiera a Dicembre. Al momento, stilisticamente, mi sembra di essere arrivato in un
punto in cui ho piacere di fermarmi un attimo a riflettere. Ho molto da
precisare prima di cambiare direzione.
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