sabato 9 febbraio 2013

FATHI HASSAN


Intervista a Fathi Hassan 
di Marta Casati  



Del tuo lavoro quello che mi colpisce maggiormente è il silenzio, la forza del silenzio. Le tue opere si muovono in maniera autonoma, senza sprechi. Incisive, si snodano in una economia di linea, mai di pensiero. La scrittura si accavalla, si addensa su se stessa, ma mai con disordine: lungo il suo percorso sembra guidata da un bisogno che dovrà assolutamente essere colmato. Ritengo che questo “cercare” abbia delle radici così profonde che la critica ancora non sia riuscita a darle la giusta interpretazione: forse troppo spesso si è soffermata su un solo aspetto della tua ricerca, ossia il quesito “è una scrittura per immagini o sono le immagini che seguono la pittura?”. Mi chiedo se sia così importante trovare un limite, una zona di confine che delimiti una espressione artistica così vasta... mi sbaglio? 
Il silenzio è una sospensione di una misura del respiro, in un contenuto di cellule nate in un corpo non sofferente, immortale. Non appartiene al nutrimento, non tradisce, perché vive d’amore e d’armonia. Ha in sé una forza legata al credere in una comicità che nuota all’infinita. L’autonomia di qualsiasi opera d’arte vera nasce dalla multidimensione di un gruppo affiatato: Pensiero-Cuore-Esecuzione. Una miscela che produce un suono e che porta a Dio: come un’orchestra conosce i suoi elementi e non ha bisogno di parole. Come si può sprecare tempo nel produrre un’opera d’arte che è concepita attraverso un tempo ignoto? Si deve pensare con il core per salvarsi: la linea ed il pensiero appartengono al dopo! La scrittura narra che Ella è il Verbo di Dio, come dice Edomd Jàbes nel Magnifico “Il libro dell’Interrogazione” e ci porta attraverso la parola per capire dove siamo. Non si può cercare, si può incontrare, con il richiamo, con il respiro si può attirare le somiglianze e modificare la propria sorte. Attraverso il non “perdersi” in conflitti materiali illusori, si può operare una ricerca delle radici per capire quello che già esiste in noi – nascosto nel profondo ego sconosciuto. Se oggi la critica non ha capito pazienza, per me non è così. Mi ritengo fortunato. Venendo dall’Egitto ho incontrato le massime “analitiche della Critica italiana: F. Menna, G. Perretta, M. Bignardi, F. Di Mauro, B. Oliva, L. Meneghelli, E. Eulisse, ecc…Non posso pretendere di più e nella mia posizione attuale mi sento in forma, ho molto da dare e da dire. Eariberto Eulisse nel libro “La sostanza dell’anima” edito da Bencivenga Gallery di Pesaro, annota che: Scrittura di immagini o pittura di parole – come definire l’opera di F.H.? – storia della scrittura a partire dal momento in cui è significato, e la storia della scrittura ne reca valida testimonianza e diviene una miscela d’armonia e nasce “Contenitori di memoria, sogni, segreti”, ecc…Le mie radice nubiane (tra l’Egitto e il Sudan) portano da per sé, una cultura di azzeramento della parola, basti vedere le Piramidi di Giza, i Templi di Abu Simbal. La linea compone la forma! E si parte per il mondo a conquistare meraviglie. 

Il bianco, nelle tue opere, ha spesso ospitato una valenza concettuale forte. Uno status puro, quasi elevato all’ennesima potenza. Ma il bianco è metafora e simbolo di una dimensione particolare, astratta, lontana da un qui, o riesce a trovare un suo habitat concreto nella tua realtà, o artistica o personale che sia? Il bianco è una meraviglia di un “grappolo” di ASSENZA, il non “esiste” come l’universo che annienta e che resiste. Cosmo, Vuoto, innocenza, purezza hanno il colore Bianco – ma anche il colore Nero! Noi vogliamo identificare le cose con le nostre paure (nel mio caso parlo del bianco per parlare del Sahara o del silenzio, ecc. ma anche per stare in compagnia con me stesso). Le nostre paure dividono i figli in colori diversi, per sentirsi vincenti come si usa in Occidente. Bisogna sempre vincere, con fatica e bugie. Il concetto di vittoria assomiglia al peccato (è senza genitori) crudele e ha perso l’affetto; tutto derivato dal non credere nell’amore. Amore incondizionato appartiene al Nulla, e sono pochi coloro che riescono a capire il Bianco è Nero – Nero è Bianco. Amiamo gli Angeli come esempio di protezione e ci Essi esistono grazie al Nero!Non so perché dipingo, non so fare altro, credo. Mi sento leggero e innocente quando lavoro, non sono né vivo né morto, ma amo quello che faccio e diventa per me un …DONO.  

Fin dal tempo dell’Accademia hai vissuto in prima persona la dimensione e il mondo del teatro, e forse anche nella loro forma più onirica. Quanto questo tipo di esperienza ha influito nella tua esperienza artistica, sul tuo essere artista? E’ stato un fattore che ha poi sviluppato il tuo esprimerti per mezzo di performance ed installazioni o ritieni che comunque sarebbe emerso dalla tua arte? Al Cairo vivo in una strada del centro storico circondata da numerose sale cinematografiche e teatrali. Abituato a condividere fin dall’infanzia le tecniche artistiche del cinema e del teatro, provengo da una cultura letteraria ben assortita. Quando arrivai a Napoli nel 1980 per studiare all’Accademia per me era facile. Incontrai M. Martone per fare una parte nell’Otello, ma già prima il Prof. di scenografia Ottaiano mi aveva scelto per dipingere la scenografia di Tosca al San Carlo. Eravamo in pochi privilegiati, e poi alla RAI. Dovevo fare di tutto, mi sentivo a mio agio ed esprimevo la mia cultura e ne parlavo. In verità le persone che ho incontrato inizialmente a Napoli erano internazionali, aperti, insomma gente vera. Il Teatro e il suo spazio di B. Brook e il teatro-laboratorio di Grotosckhj sono stati fondamentali per me per capire lo spazio e poi, in seguito, nelle mie opere bianche vuote, sulla tela.                                                                       Hai espresso il tuo distacco da una dimensione tecnologica con l’inserimento nelle tue opere di relitti di ogni tipo (come i pezzi di motore o di biciclette in “Non sono Marcel Duchamp, sono Tutanchamon” del 1994) per poi prendere pieno distacco da un razionalismo freddo e puramente occidentale. Come ti confronti con il momento storico in cui stiamo vivendo, contraddistinto dal fagocitante senso di onnipotenza espresso e manifestato dall’Occidente?                                                    La tecnologia è un capriccio per persone viziate. Si può dire quale tecnologia armata è quella che ha poteri disastrosi per detenere comando ma non vedere… La tecnologia scientifica va apprezzata perché fa parte del cammino dell’essere, anche quello spaziale, tutte le scienze pacifiche che servono all’uomo mi piacciono, ma non quelle distruttive. Il Sahara non ama la tecnologia, è un’opera che denuncia lo strapotere dell’Occidente verso chi è povero, uno sfruttamento denunciato da tempo e che annienta l’essere umano. La malattia più diffusa negli ultimi anni è la depressione, la tristezza, e ci si domanda perché? Marcel Duchamp rappresenta per me nell’arte il perno del pensiero occidentale-scientifico di potere. E’ una sorta di borghesia frenetica che porta un male mentale, non semplice perché va verso una ricerca di dominio assoluto della mente sul cuore. Si può prendere il distacco dalla razionalità, per non perdersi in infinite domande ed innescare una sfida tra il Creatore e il suo Creato e l’essere-creato. Negare domande esplicite domande esplicite mi rende triste e comunque l’onnipotenza occidentale con la sua forza reca ancor di più un potente ego-illusorio. Si può guidare l’energia umana verso quella cosmica per capire e comprendere l’armonia e viverla. Ruote e metalli che sono al di fuori del Sahara, sopra di essa ma non dentro! Come tanti umani dalla forma di SASSO bagnati dall’acqua in superficie ma non toccati dentro. E’ una questione di vivere sano. L’appartenenza si perde con l’arrivo del VENTO!    

Quanto incide lo spazio nella realizzazione dei tuoi dipinti? Ossia è l’ambiente ad incidere sulla forma della scrittura e sul fluire dei caratteri o sono i segni che si distendono e trovano una loro postazione in base alle direttive dettate dal luogo? 
Lo spazio siamo noi e noi dentro lo spazio, circondati da esso ci muoviamo con esso. Il bambino nel grembo materno si muove al sicuro, non pensa al più , ma vive una circostanza favorevole all’essere che è in noi. Nel mio lavoro non penso allo spazio, penso a quello che ho nel cuore, lo porto fuori attraverso la mano in perfetta non conoscenza, come il fiume scorre verso il mare. Dipingo a volte per odore, quando sento l’acqua del Nilo, il fango bagnato o la sabbia calda sotto il piede nudo. Storie diverse in noi ci fanno compagnia attraverso il tempo e dobbiamo noi amarle (curarle) con affetto, e pensare sempre che non ci appartiene. I segni, per me come le ferite che son chiuse, non portano rancore! Ma amano l’accaduto perché è vita e ricordo. Il luogo siamo noi e l’opera d’arte o latro deve essere in noi stessi. Il racconto o il dipingere o l’eseguire musiche, ecc. non è differente da noi, non c’è 1 e 2, ma Uno, l’Assoluto. Quando l’uccello vola è un corpo solo, armonico e perfetto, che gioisce. Si costruisce il luogo, dice qualcuno – per me già esiste da prima – si percepisce e tutto va di conseguenza. La storia si ripete nella sua ciclicità e i cambiamenti sono inevitabili, anche nell’arte. Trovi che negli ultimi anni ci siano stati cambiamenti (concettuali, intendo) nel panorama artistico, nazionale e/o internazionale, o in fondo stiamo assistendo al ritorno di esperienze già proposte-viste-e-ancora-viste- e-riviste? E’ necessario essere onesti, non seguire solo moda e mercato. Negli anni ’50 e ’60 si sono espresse tecniche di arte-figurativa ad altissimo livello internazionale, mentre oggi scimmiotta una situazione già vista e rivista. Partiamo da Man Ray, Duchamp, Arte Povera, Concettuale, Concreta, Po Art, ecc…artisti di altissimo livello spirituale! Che hanno aprto un pensiero nel dopoguerra, libero ed efficace, erano nel Sé ed ora riusciamo a vedere la struttura critica della semplicità nascosta nell’essere. Fontana, Burri, Lombardi, Merz, Dien, Hartung, De Kooning, ecc… Nomi infiniti di grandi maestri. Non è possibile quello che si fa oggi, a tutti i costi. E’ necessario analizzare le situazioni e vedere chi si intrufola nell’ambiente dell’arte. Gli acrobati ingrassati fanno un falso numero e prima o poi cadono dopo tante illusioni. L’Arte è diventata un lavoro per molti, è un’abitudine e/o un potere che non finisce mai, ma circolano come mine vaganti a creare disturbo e “falsa storia”, perché quella vera è dentro il cuore, intatta e sana.  

Sei legato a una qualche opera in particolare, perché frutto di un periodo speciale della tua vita (positivo o negativo, indifferentemente) o ognuna è unica ed irripetibile a suo modo?  
Non ho un’opera in particolare, ma situazioni diverse. A) la scrittura B) il bianco (lo spazio Sahara, ecc…) C) i santi e gli animali. Oggi sono riuscito a metterli insieme con diversi tentativi e spero di riuscire adire in parte quello che vorrei. Mi lacsio andar e m’immergo con la mia anima a fare le mie opere; ci penso on affetto e amore prima di farle. Quando ho iniziato la mia prima serie di “contenitori” non credevo che avrei abbandonato la “scrittura pura” ma ho capito che per evolvere dovevo spingermi avanti, poiché era l’unico modo per uscire dall’origine, era tempo di mischiare le due culture e trarre il massimo da esse. Facevo foto ed installazioni nei primi anni ’80 e dipingevo in performance in diretta a livello internazionale.  

Un accenno alla tua produzione più recente: verso quali vie si sta indirizzando attualmente la tua ricerca artistica? E’ di tipo pittorico o stai sperimentando altre forme espressive? (Qualsiasi esse siano, anche il canto sotto la doccia!) 
Tutte le forme espressive nel campo dell’arte mi intrigano, devo avere delle forze per perforare il male di noi e portare nell’opera d’arte (nel possibile) un’energia positiva, che ama la natura delle cose per potersi sentire un’unica cosa. Amo l’arte. Abitualmente lavoro con più spiritualità, lentamente, con cura, leggo molto, soprattutto mentre lavoro. Fare ricerca vuol dire sperimentare se stessi, immergersi nelle situazioni artistiche per conoscersi un po’ di più, rispettare chi ti è vicino per apprezzare le melodie della Pace. Mi piace l’istallazioni armonica che vuole offrire armonia e che accompagna il Vento, l’acqua ad un percorso celestiale che salvi l’uomo dalla superbia e dall’arroganza.

(Pubblicata su ESPOARTE di Ottobre-Novembre 2004)

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