Intervista ad ANTON CORBIJN
di
Marta Casati
La musica, of course. Quella che come leggenda vuole lo ha portato a Londra e poi in pellegrinaggio per il globo a ricamare con le immagini l’identità dei Depeche Mode, degli U2 e dei Rem, solo per citare alcune delle molte icone incantate dai suoi scatti. Saltando dalle pagine di Vogue a quelle di Rolling Stone, Elle o Max e girando oltre 60 clip – fra i quali Some YoYo Stuff, documento unico su Captain Beefheart realizzato niente meno che per la BBC nel ’93 – Anton Corbijn tra premi e riconoscimenti si è presentato a Cannes l’anno scorso con Control, film su Ian Curtis dei Joy Division mostrando, ancora una volta, tutta la sua carica. Fotografo, regista, forse confessore, giocoliere che stringe la visione sulla musica e la musica su una visione, quella.
Il tuo progetto fotografico più recente è la mostra alla Biennale di Alessandria. Cosa hai presentato in occasione di questa personale?
Ad
Alessandria ho esposto parte della mia collezione di autoritratti intitolata a.somebody. Si tratta di fotografie in cui sono vestito come
uno di quei musicisti scomparsi che amo o ho amato a un certo punto della mia
vita e le immagini sono state scattate nella cittadina in cui sono nato.
Se
qualcuno ti chiedesse di definire la fotografia, il concetto che sostiene il
suo processo creativo, quale definizione conieresti?
La
mia risposta sarebbe scrivere
con la luce.
Inserendo
il tuo nome su Wikipedia – l’enciclopedia universale on line – si legge: «Anton
Corbijn nasce nel 1955 a Strijen, in Olanda. Affascinato dal mondo musicale,
nel 1972, assistendo a un concerto dal vivo scatta le sue prime fotografie». Di
chi era questo concerto? E cosa ti ricordi di quel giorno?
Era
un pomeriggio e nella piazza della città si teneva un concerto dal vivo di un
gruppo del posto, i Solution, i cui pezzi mi piacevano molto. Ero un pò
nervoso, perché ero timido e ci eravamo appena trasferiti lì durante le vacanze
scolastiche, così non conoscevo praticamente nessuno e fu per questa ragione
che presi la macchina fotografica di mio padre per avere una specie di alleato
– se così si può dire – una via d’uscita e una scusa per andare sotto il palco.
Le mie fotografie sono state poi pubblicate su una rivista nazionale di musica
e io mi sono sentito come se avessi fatto qualcosa di grande. Era il 28 agosto
1972.
Vorrei
chiederti di rispondere a qualche mia curiosità. Mi daresti tre aggettivi per
descrivere l'arte contemporanea ma anche – onorando il numero perfetto per eccellenza – i tre libri migliori che hai letto, i tre cd
che reputi "assoluti" nella storia della musica, i tre migliori film
mai stati diretti.
Giovane,
su di giri ed eccitante – non necessariamente in quest’ordine e non per forza
con un significato negativo. Ho letto troppi pochi libri, quindi posso solo
dirti quali film mi piacerebbe rivedere e quali canzoni mi piacerebbe ascoltare
oggi. Film: I sette samurai, Pulp
Fiction, Toro Scatenato. Canzoni che mi mancherebbero: One world di John Martin, Tonight’s the night di Neil Young e Funeral degli Arcade Fire.
Sono
molti i personaggi del mondo della musica e non solo che possono vantare un tuo
ritratto – basti pensare a Kurt Cobain, Bono,
Elvis Costello, Don van Vliet alias Captain Beefheart, Depeche Mode, Lance
Armstrong e David Bowie. Chi tra tutti occupa un ricordo diciamo
"speciale" nella tua memoria e perché?
La
vecchia massima «every picture tells a story»
resta valida, quindi è difficile scegliere una sola persona, ma se proprio devo
dirne una, allora è Captain Beefheart, perché sono riuscito a scattargli una
foto memorabile, per la sua amicizia e per un bel cortometraggio, Some yo yo
stuff.
Credo
invece che l'autoritratto sia una sorta di disciplina anarchica in cui tu possa
procedere libero senza dover ubbidire a nessun tipo di regola o dettame perché
il gioco è a tu per tu
con te stesso. È così? Sono svariati gli autoritratti che nel corso degli anni
ti sei concesso...
È,
allo stesso tempo, divertente e avvincente, quindi trovarne una definizione
appropriata non è così facile come puoi pensare.
Quando
un'opera – che sia una fotografia, un film o un libro – si può dire davvero finita, conclusa?
Credo
che una volta pubblicata sia definitiva.
Il
2007 ha visto l'uscita del tuo film Control, biografia di Ian Curtis cantante dei Joy
Division, presentato al Festival di Cannes.
Qual
è stato l'obiettivo principale che hai voluto soddisfare nel realizzarlo?
Ho
dedicato due anni della mia vita a questo film, tra la ricerca di fondi per
finanziarlo, la produzione, la regia e la promozione, ma sono stati anni
importanti. Quello che volevo fare all’epoca era raccontare bene quella storia
e capire se potevo davvero fare un film. Comincerò le riprese del mio prossimo
film nel 2009 e questo è un altro risultato dell’aver girato Control.
Appuntamenti futuri: la tua mente sta già
pensando al prossimo progetto da realizzare? Chi/che cosa e quale città
coinvolge?
Al
momento sto lavorando con gli U2 e i Depeche Mode in vista dei loro nuovi album
e sto completando la preparazione di un altro film per il prossimo anno. Non
posso rivelare troppo al proposito, solo che il film non è legato alla musica,
ma sarà ispirato a una storia di fantasia. E sarà una pellicola a colori.
Anton
Corbijn è nato nel 1955 a Strijen, in Olanda. Vive e lavora tra Strijen e
Londra.
(Pubblicata
su ESPOARTE di dicembre 2009 - gennaio 2010)
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