Intervista a CHRISTO E JEANNE-CLAUDE
di Marta Casati
Lugano, Svizzera.
Anteprima stampa mostra CHRISTO e JEANNE-CLAUDE 2006.
Ho il piacere di intervistare un pezzo di storia dell'arte.
La vostra unione è qualcosa di insolito ed eccezionale
perché è un binomio tra vita privata, amore e attività artistica che dura da
molti anni e sa concretizzarsi in grandi progetti e grandi opere…
JC: Noi in più abbiamo un figlio!
Quanto ha contato nella vostra creatività?
JC: Per noi è un tutt’uno: amore,lavoro, famiglia…è tutto
insieme, non è possibile scinderli! D’altronde siamo insieme da più di
quarant’anni.
CH: Viviamo insieme da quarant’otto anni, abbiamo passato
insieme gran parte della nostra vita ed è per noi tutto normale. Siamo
cresciuti insieme! Avevamo ventitre anni quando ci siamo conosciuti, adesso ne
abbiamo settantuno.
Il fatto che siete nati entrambi il 13 giugno ha mai
avuto una qualche significativa influenza nella vostra vita?
JC: No, nessuna.
CH: Ma attenzione, non ci siamo amati per tutta la vita…
JC: Continuiamo a stare insieme solo perché così
risparmiamo sulla torta i compleanno! [ridono entrambi]
Perché non avete mai voluto sponsor o sostegni
economici per realizzare le vostre opere?
JC: Noi vogliamo lavorare liberi, in libertà totale.
Quando c’è uno sponsor, lo sponsor può dire “no, questo non mi piace” oppure
“non voglio questo colore” o “questo non lo fare così”. Per noi la libertà è la
cosa più importante. Per questo non possiamo prendere sponsor.
Ma avete avuto grossi problemi con le amministrazioni e
le municipalità. Ci sono state situazioni, come a Berlino[1],
in cui avete aspettato per più di venti anni…
JC: Venticinque…
Come riuscite a fronteggiare difficoltà così enormi?
JC: Fanno parte dell’opera d’arte. Le difficoltà esistono
per tutti gli artisti. È come avere un bambino, che deve andare a dormire,
mangiare e tutto il resto. Ha moltissime necessità ma la tua vita è fatta per
soddisfarle e colmarle.
Neanche per “Over The River”[2]
ancora i permessi, vero?
JC: No, ancora non li abbiamo ottenuti.
CH: Abbiamo già speso due milioni e mezzi di dollari ma
ancora non abbiamo avuto i permessi dalle burocrazie e ancora questo progetto,
iniziato nel 1992, ancora oggi, non abbiamo i permessi necessari per la sua
realizzazione.
Ma quali sono le motivazioni reali? Perché non ve li
concedono?
JC: La gente che vive nel tratto di sessanta silometri del
fiume non lo permette. Qualcuno di questi non vuole essere disturbato da questo
progetto.
Quanto tempo occorre per realizzare l’intero progetto?
L’opera dura qualche settimana ma la realizzazione comporta molto tempo?
JC: Abbiamo bisogno di due primavere e di due autunni,
ossia due anni.
CH: I cavi di acciaio dovrebbero rimanere ancorati per due
anni, dopodichè nel terzo anno inizierebbe la vera realizzazione.
Ma da dove proviene tanta forza e ostinazione per dar
vita a progetti tanto complessi e
difficili da completare?
JC: Non è una questione di pazienza, ma è una questione di
passione. E di vitamina C! Molta vitamina C!
CH: Passione, passione…
Mi piacerebbe avere da voi un solo aggettivo per
descrivere il vostro lavoro, al vostra arte.
JC: Me ne occorrono due: gioia e bellezza.
CH: Ma gioia non è un aggettivo…
JC: Neppure bellezza se è per questo è un aggettivo, ma è
esattamente quello che creiamo.
Credete che durante tutti questi anni di attività
artistica sia cambiata o mutata in qualche parte l’emozione che cercate di
trasmettere alle persone?
JC: Noi non vogliamo dare nessuna emozione. Noi creiamo un
lavoro che racchiude gioia e bellezza ma per noi, per i nostri amici e per le
persone più care. Se poi le persone vivendo l’esperienza da noi creata si
divertono, questo ci rallegra.
Qual’è l’errore più grave e più frequente che la
critica commette parlando di voi e delle vostre opere?
JC e CH: Oh!!!!![con aria soddisfatta per la domanda
rivolta, come se attendessero con impazienza di rispondere].
CH: Non leggono i titoli dei nostri progetti! E’ davvero
un fatto strano… infatti i titoli sono tutti semplici, corti ed espressi
chiaramente, non c’è motivo di sbagliarsi! Quando noi chiamiamo l’intervento
“The Umbrellas”, vogliamo dire “The Umbrellas”[3]!
Quando decidiamo che il titolo è “Wrapped Reichstag”, questo è “Wrapped
Reichstag” o se è “Valley Curtain” deve restare “Valley Curtain”[4]
e basta, senza alcuna altra mistificazione perché noi cerchiamo di dare un
titolo che sia il più semplice e chiaro possibile e che parli della location,
del luogo in cui è realizzato nel modo più preciso ed indicativo: così quando
le persone vedono i progetti e i bozzetti preparatori hanno le esatte
coordinate della disposizione reale. Se il progetto è situato in Colorado non è
in Arizona, se in California non è in Nebraska, se è l’Arkanzas River in Colorado
non è tutto il Colorado!
JC: I media non commettono errori ma è solo pura stupidità quella che
utilizzano quando ci chiamano “the wrapping artist” e quando scrivono “The
wrapped Umbrellas” è l’idiozia ad agire, o come quando scrivono che noi abbiamo
“impacchettato” [wrapped] Central Park nel 2005[5],
è solo pura stupidità. Ma questa è solo una piccola parte di loro. La maggior
parte è in grado di vedere che in Valley Curtain o in “The Umbrellas” o in
“Valley Curtain” non c’è niente di “impacchettato”. Ma qualcuno di loro
continuerà comunque a commettere errori, così come qualcuno continuerà anche
nelle generazioni successive.
Proprio come accade per quei giornalisti che,
riferendosi al progetto che avete realizzato nelle isole in Florida, a Biscayne
Bay[6],
continua ad usare “wrapping” al posto di “sourrending”…questo accade anche di
frequente e non vi rallegra…
JC: E’ anche molto semplice da spiegare e lo spiego con un
esempio. Durante una lezione di geografia l’insegnante non ha mai detto ai suoi
allievi “L’Inghilterra è avvolta [Wrapped] dal mare” ma bensì “L’Inghilterra
è circondata [sourrended] dal mare”.
Esiste un luogo che non permette a Christo e a
Jeanne-Claude di intervenire e realizzare qualche progetto?
JC: Io e Christo siamo molto realistici. Quando abbiamo e
nutriamo un’idea, ci crediamo e pensiamo anche che sia possibile realizzarla,
operare ed intervenire. Non abbiamo mai voluto realizzare utopie.
CH: I nostri non sono progetti tecnologici ma sono
progetti semplici e
meccanici. Vi serviamo di ingegneri che realizzano le parti più complesse.
Adesso una domanda di pura curiosità: la mia città
natale è Firenze. Vi siete mai stati?
JC: Siamo stati a Firenze anche tempo fa ma l’abbiamo visitata
già dieci o dodici volte. Siamo stati accolti e affascinati dal magico mondo di
Lorenzo dè Medici e se non ci piacesse non ci saremmo venuti così tante volte!
Credo di non conoscere nessuno a cui non piaccia Firenze… e lei?
No, no, in effetti neppure io! Vi rivolgo ancora una
domanda: avete vissuto e avete operato in numerose città, tra le quali New York
o Parigi, ma c’è una città in particolare che è più radicata nel vostro cuore,
che ha per voi un significato speciale?
CH: Ogni città, ogni luogo, nel quale abbiamo lavorato è
parte dei nostri cuori. È ormai parte della nostra vita e necessariamente sarà
sempre parte di noi.
JC: Ogni progetto è per noi come un figlio e per questo lo
amiamo così tanto. Ognuno è diverso dall’altro, così come ogni città che ci ha
accolto, ma in tutti questi quarantotto anni solo è e sarà la preferita: la
prossima!
(Pubblicata su ESPOARTE di giugno-luglio 2006)
[1]
Mi riferisco a “Wrapped Reichstag” , Berlino, 1971-1995.
[2]
“Over the River” è il progetto per Arkansas River, in Colorado, iniziato nel
1992 e ancora in fase di realizzazione.
[3] Il titolo
dell’opera è “The Umbrellas”, Japan-USA, 1984-91.
[4] “Valley Curtain”, Grand Hogback,
Rifle, Colorado, 1970-72.
[5] Il titolo è “The Gates”, Central
Park, New York City, 1979-2005
[6] Il titolo
esatto infatti è “Sourrended Islands”, Biscayne Bay, Greater Miami, Florida,
1980-83.
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